Che sia vera transizione
La transizione va accelerata. Nessun finanziamento a progetti e risorse che arrechino danni all’ambiente e al clima.
La Coalizione Clima e le organizzazioni che la compongono, per anni hanno spinto per una piena consapevolezza, anche nel nostro Paese, sulla crisi climatica mondiale e per un conseguente programma di decarbonizzazione. Si ritiene quindi positivo il fatto che, anche nelle intenzioni programmatiche, a livello nazionale e internazionale, le questioni della transizione ecologica e della sostenibilità stiano diventando un elemento centrale dell’agenda politica.
Certamente il movimento internazionale Friday for Future e la presa di coscienza da parte delle nuove generazioni, quelle destinate a vedere gli effetti dei cambiamenti climatici, hanno dato un contributo significativo per fare in modo che nell’agenda politica il processo di decarbonizzazione iniziasse ad essere finalmente legato a un nuovo modello di sviluppo e non solo a misure di contenimento. Un contributo quindi, connesso alla necessità sistemica e contestuale di una nuova politica energetica, di innovazione nei processi produttivi, negli interventi nei territori e nel mare, nei consumi, a partire da quello primario dell’alimentazione.
Per questo, abbiamo associato a questa prospettiva anche l’elemento decisivo della partecipazione delle collettività e del mondo del lavoro, che vanno coinvolti nella transizione che deve essere giusta ed accelerata, come indicato dalla stessa comunità scientifica internazionale e come richiede l’aumento esponenziale sia delle emissioni di gas serra, che dagli eventi (estremi e non) collegabili al cambiamento climatico in atto.
Oggi speriamo di essere finalmente in presenza di un cambio nelle politiche europee e che, per la prima volta dopo decenni di politiche solo di controllo di bilancio e di austerità, si mettano in campo risorse significative nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Queste risorse rappresentano un’opportunità che, per non essere indebolita o evolvere in frammentazione, deve prevedere progetti significativi coerenti con gli obiettivi di riduzione delle emissioni e con il percorso della transizione, che deve vedere la completa decarbonizzazione anche prima del 2050.
Auspichiamo che il nuovo Ministro della Transizione Ecologica avvii finalmente un serio dialogo con i soggetti “portatori di interesse”: in questo caso, non faremo mancare anche il nostro contributo. Sappiamo che quest’anno vi saranno altre scadenze, in primis la COP26 e il G20 a presidenza italiana, da cui ci attendiamo nuovi impulsi per affrontare la crisi climatica. Chiediamo che l’Italia sia tra i Paesi che promuovono obiettivi climatici più ambiziosi. Siamo coscienti che settori dell’industria, in particolare del fossile, lungi dal cogliere appieno l’opportunità anche competitiva di una riorganizzazione produttiva, puntino a diluire nel tempo il programma complessivo, magari fino alle soglie del 2050, ma rallentare il processo, con la promessa di recuperi successivi, rischia di compromettere il percorso. Per questo sono necessari step di monitoraggio, con tutti i portatori di interesse.
Le nuove politiche presuppongono un salto tecnologico di rilievo. Per questo si devono potenziare nuove filiere produttive nazionali e la ricerca pubblica nei settori della decarbonizzazione e della transizione ecologica. Vi sono grandi potenzialità per nuova occupazione di qualità, il nostro Paese non può essere marginale nell’economia del futuro, anche perché una dipendenza tecnologica andrebbe a sommarsi alla già grave dipendenza energetica cui ci hanno condannato per decenni politiche arretrate.
Vogliamo, di seguito, evidenziare alcuni punti di attenzione che ci sembrano importanti, senza ripercorrere le priorità condivise del piano:
1) Fonti rinnovabili e idrogeno. Le risorse del PNRR devono essere utilizzate per raggiungere gli ambiziosi obiettivi europei, a partire dallo sviluppo delle FER (solare, eolico on-shore e off-shore, accumuli, ecc.) in particolare spostando i consumi verso l’elettrificazione nella mobilità, nel riscaldamento, nell’efficienza energetica, in ogni settore. In quest’ambito, sarà necessario puntare sull’idrogeno da fonti rinnovabili (cd. “idrogeno verde”) come raccomandato anche dall’Unione Europea, per utilizzarlo nei settori in cui la decarbonizzazione appare, al momento, un procedimento più complesso che in altri, quali i comparti industriali altamente energivori (siderurgia, cemento, trasporto aereo e navale) tenendo conto delle tempistiche necessarie per l’adeguamento impiantistico.
2) Nessuna risorsa – e nessun nuovo investimento – sui fossili. Nessun progetto che provochi danni sul clima deve essere finanziato. Il 37% delle risorse del Programma NGEU deve essere destinato esclusivamente all’azione del clima. E’ necessario puntare su tecnologie mature, che possono contribuire immediatamente alla riduzione delle emissioni, visto che le risorse del PNRR dovranno essere spese nei prossimi 6 anni. Occorre anche procedere ad una graduale eliminazione dei Sussidi riconosciuti come ambientalmente dannosi (SAD) per trasformarli in Sussidi ambientalmente favorevoli (SAF) e in investimenti per supportare le filiere verdi e sostenibili.
3) PNIEC (Piano Nazionale Integrato Energia e Clima). Va aggiornato sulla base dei nuovi target europei, in particolare per le fonti rinnovabili, rispettando la completa dismissione delle centrali a carbone entro il 2025. A questo fine può essere utilizzato anche il Meccanismo europeo per la Giusta Transizione. L’attuale piano, che aveva un obiettivo del 37% di riduzione delle emissioni al 2030, stimava necessarie grandi risorse senza individuarle. Ora gli obiettivi dovranno essere innalzati, con un fabbisogno di risorse ancora maggiore.
4) Mobilità elettrica. Si può partire subito dal trasporto pubblico, creando finalmente una filiera nazionale per la produzione di bus elettrici. Va anche approntato il sistema diffuso delle ricariche per i mezzi elettrici, per arrivare a parecchie migliaia di punti nel 2030, accompagnato da interventi di ricerca e produzione nazionale specialmente sugli accumuli. Occorre anche aprire un tavolo con le filiere industriali di riferimento.
5) Ecobonus. Questo importante strumento – che dovrebbe diventare strutturale, con una proroga almeno fino al 2025 e con una complessiva semplificazione – comprende sia interventi di riqualificazione edilizia, che di efficientamento energetico degli edifici, oltre che di sicurezza antisismica; questi ultimi, possono contare anche su altri finanziamenti conteggiati nel 37% di spesa previsto degli impegni ambientali del NGEU. Si tratta di una grande opportunità per efficientare e ridurre complessivamente i consumi energetici del patrimonio edilizio, ma anche per installare nuova produzione energetica da rinnovabili, compreso l’avvio delle comunità energetiche rinnovabili e i gruppi di autoconsumo collettivo, con effetti positivi sul costo delle bollette e contrasto alla povertà energetica, oltreché creazione di nuova occupazione.
6) Economia circolare. Investire nella riduzione e nella gestione virtuosa dei rifiuti, colmando i gap impiantistici territoriali tra Nord e Sud, anche con nuove tecnologie per i recuperi complessi, in linea con le direttive europee. Il complesso delle azioni per prolungare il ciclo di vita dei prodotti, dovrà articolarsi nei territori con chiari riferimenti normativi e indicatori di circolarità nazionali, a partire dall’attuazione a livello nazionale dei decreti End of Waste per accelerare i processi di recupero e riciclaggio. L’economia circolare deve uscire definitivamente dalla logica ascrivibile a quella dei combustibili fossili, o comunque brown. Così come non può esimersi dal sostenere il percorso di regolazione per la dovuta diligenza su diritti umani e ambiente, in modo da costituire una economia circolare che si estende lungo le catene del valore internazionali.
7) Filiera agroalimentare. Riconoscere il ruolo della filiera agroalimentare e dell’agroecologia nella bioeconomia e nella lotta al cambiamento climatico, attraverso la diffusione di pratiche agro-zootecniche sostenibili e rigenerative, orientate all’aumento del contenuto di carbonio organico nei suoli, l’arresto della deforestazione, la riduzione degli sprechi, la produzione di energia rinnovabile, la tutela della biodiversità e la diffusione di abitudini alimentari e modelli di consumo consapevoli ed orientati verso prodotti rispondenti ai principi di neutralità climatica e di circolarità ed efficienti sotto il profilo dell’uso delle risors e. Questo può aiutare anche la riduzione della dipendenza dall’estero. La strategia europea “Farm to Fork” non è finalizzata solo a ridurre progressivamente gli impatti negativi delle produzioni, ma anche a favorire scelte di consumo consapevole. Per questo occorre investire nel campo dell’educazione alimentare andando oltre impegni generali e di principio.
8) Difesa del territorio, delle acque e del mare. La protezione e la ricostruzione delle biodiversità e degli ecosistemi con interventi concreti per il restauro del patrimonio naturale e per un uso sostenibile delle risorse idriche, territoriali, marine, devono diventare politiche effettive praticate nel nostro Paese. Negli importi previsti nel NGEU per la parte ambientale, devono essere ricondotti questi interventi che hanno un significativo impatto anche per l’adattamento e la mitigazione dei cambiamenti climatici.
9) Riforma delle procedure autorizzative. Viene considerata centrale per l’assegnazione delle risorse europee. Parallelamente, però, la macchina statale va rafforzata, con le necessarie assunzioni, puntando su competenze, efficienza, innovazione e digitalizzazione, per ridurre i tempi delle autorizzazioni. Ma lo snellimento burocratico non può alleggerire un sistema di vigilanza e di controlli rigorosi: devono restare inalterati invece i tempi per la partecipazione democratica, deve essere garantito il rispetto delle norme a tutela dell’ambiente e della salute.
10) Giusta transizione – Sono necessari ed urgenti piani, misure e risorse per la Giusta Transizione per pianificare ed affrontare la trasformazione del modello economico e produttivo senza che nessuno sia lasciato indietro. Piani da redigere con percorsi democratici e partecipativi e misure da definire con la contrattazione con tutte le Parti Sociali per la creazione di nuovi posti di lavoro, ammortizzatori sociali universali, formazione permanente e riqualificazione professionale per accrescere le competenze verdi e digitali. Una valutazione e più attenta gestione degli impatti delle politiche commerciali europee e delle acquisizioni societarie sulla sostenibilità interna e esterna delle nostre filiere strategiche. Sottolineiamo infatti, in conclusione, che il Piano non può destinare fondi del PNRR per rinnovare la capacità e i sistemi d’arma a disposizione della Difesa, mentre dovrebbe considerare la dimensione esterna, per ora drammaticamente assente. Il piano dovrebbe impegnare l’Italia nell’investire nella cooperazione internazionale (ricordiamo l’impegno ribadito nell’Agenda 2030 per lo 0,7% del RNL) per sostenere la resilienza delle popolazioni più vulnerabili, i piani di adattamento dei Paesi impoveriti e vulnerabili, la cooperazione per la decarbonizzazione e per la difesa dei beni comuni globali.