Il fine vita della plastica
La scorsa settimana abbiamo “scoperto” che la raccolta differenziata non fa sparire i rifiuti, ma che se fatta bene può aiutare a riciclarne il più possibile (sempre parlando di rifiuti urbani, mentre i rifiuti speciali sono 4 volte tanti ma il pubblico dibattito se ne interessa ben poco). Abbiamo anche visto però che la raccolta differenziata è importante, ma sarebbe ancora più importante una progettazione ecologica degli imballaggi, magari attraverso una seria disincentivazione degli imballaggi difficili (se non impossibili) da riciclare, che sono in crescita costante e che stanno contribuendo a mettere in ginocchio una filiera incapace di gestire flussi sempre più importanti di materiali.
A mo’ di esempio, in questa categoria, inseriamo le bottiglie rivestite completamente da un’etichetta che essendo di un polimero diverso fa scartare in fase di selezione la bottiglia di pet (ma vengono sempre più utilizzate, perfino sul vetro, per esigenze di marketing). Possiamo ricordare anche le bottiglie in pet opaco (ad esempio quelle del latte), perché gli opacizzanti utilizzati per colorare il pet ne impediscono il successivo riciclo (ma stanno prendendo sempre più piede perché più convenienti del Pe). Aggiungiamo le bottiglie in pla (materiale biodegradabile), che contaminano le plastiche se raccolte con esse e contaminano l’organico se messi nel marrone (perché hanno un tempo di biodegradazione più lungo dei cicli di compostaggio industriale). Mettiamoci infine, giusto per non parlare solo del mondo della plastica, dei famigerati sacchetti dei biscotti, dove tocchiamo l’apoteosi del non-ecodesign, con materiali di ogni genere accoppiati fra loro.
Abbiamo accennato però, la scorsa settimana, anche a delle strane sigle: Css (Centro di selezione e stoccaggio), Cc (Centro comprensoriale) e Cit. Vediamo cosa sono.
I Css sono centri di selezione e stoccaggio dove le plastiche vengono separate per polimero e nel pet addirittura per colore. In sostanza in questi impianti (oggi 33 in Italia) vengono separati: pet trasparente, pet azzurrato, pet colorato, flaconi in polietilene ad alta densità, film in polietilene, casette per ortofrutta, imballaggi misti in polietilene o polipropilene, oltre ad altri materiali raccolti insieme alle plastiche, che possono essere, l’alluminio, l’acciaio, il tetrapak e il vetro. Da questi impianti quindi escono balle omogenee di materiali pronte per essere riciclate.
I Cc invece fanno un lavoro intermedio: tolgono dal multimateriale l’acciaio, l’alluminio, il tetrapak, il vetro, ma lasciano insieme tutte le plastiche, che confezionano in una balla unica, chiamata Cit. Questo Cit non è immediatamente riciclabile (perché formato da tanti polimeri diversi), ma deve sottostare a una nuova selezione, all’interno di un Css, per separare le diverse tipologie di plastiche.
Qual è il vantaggio di fare Cit con un impianto Cc? Il vantaggio è che a fronte di un investimento iniziale minore per realizzare l’impianto non si hanno analisi in ingresso, che invece sono previsti nel Css. Spieghiamo meglio la cosa con un esempio concreto. Il comune X fa il 65% di raccolta differenziata, per cui è annoverato tra i comuni virtuosi, che non pagano l’ecotassa e il sindaco è anche fiero ed orgoglioso e va sempre sui giornali sbandierando la sua percentuale. In realtà la raccolta differenziata è qualitativamente pessima, con il 40% di scarti da errati conferimenti da parte dei cittadini (nessun riferimento è casuale, purtroppo percentuali di frazione estranea del genere sono tutt’altro che una rarità). Se manda la sua pessima raccolta differenziata a un Css, quando questa viene analizzata, Corepla – il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclaggio ed il recupero degli imballaggi in plastica – ravvisa l’alta percentuale di frazione estranea e applica la corrispondente penale prevista dall’Accordo quadro Anci Conai. Quando il sindaco della città X si accorge nella cosa ha due scelte. La prima, provare a migliorare la sua raccolta differenziata, rendendola davvero funzionale al riciclo e abbassando la frazione estranea: ad esempio con maggiore (e migliore) comunicazione, tipologia diversa di raccolta, azioni cogenti… non c’è un’unica soluzione valida per tutti i contesti (come abbiamo in parte illustrato qui, quie qui, ad esempio).
La seconda scelta consiste invece nell’aggirare l’ostacolo. In che modo? Non mandando più la sua raccolta al Css bensì a un Cc: qui nessuno controllerà la sua qualità (non sono previste analisi in ingresso per il Cc); il Cit prodotto andrà sotto analisi prima di entrare nel Css e, se il Cc avrà operato bene, otterrà una buona fascia qualitativa.
Ora, se voi doveste costruire un impianto di selezione, fareste un Cc oppure un Css? La risposta che avete dato voi è quella che hanno dato le imprese italiane: nel 2014 (anno di entrata in vigore del nuovo accordo quadro Anci Conai, valido fino al 2019) in Italia venivano prodotte 313mila tonnellate di Cit, diventate nel 2016 circa 400mila tonnellate – la fonte è il Relazione annuale sulla gestione di Corepla, che almeno ha il merito con questa pubblicazione di dire le cose (a chi le vuole leggere e sapere) come stanno veramente.
Ma il risultato finale è che il proprietario di un Cc avrà sì un costo più alto per gli scarti da smaltire, ma sarà sempre preferibile alla perdita di clienti (cioè i comuni che fanno tanta, ma cattiva, raccolta differenziata). Ed è lo stesso Corepla a spiegare che nell’ultimo anno «rispetto al 2015 si è riscontrato un aumento percentuale sia della frazione estranea che della frazione neutra conferita nei flussi monomateriale ed un peggioramento della qualità del multimateriale conferito in ingresso ai Css Corepla», certificando che sì la raccolta differenziata aumenta in Italia, ma il problema è sempre più quello della qualità.
Con una tripla conseguenza negativa per l’ambiente: la prima è che oggi i Css (che nel mentre sono diminuiti) si trovano intasati di Cit da trattare (un po’ come sta accadendo per i termovalorizzatori che non riescono ad assorbire le plastiche differenziate ma non riciclabili); la seconda è che molto materiale (le plastiche) che poteva essere selezionato una volta sola viene selezionato due volte. La terza che i comuni possono continuare a rincorre le percentuali quantitative di raccolta differenziata, fregandosene della qualità e del successivo, effettivo riciclo.
Fonte: Greenreport