Imballaggi : il riciclo per la plastica (e altri materiali) da solo non basta

In Inghilterra è stata lanciato il  Plastics Pact, un’iniziativa collaborativa nazionale volontaria sottoscritta ad oggi da circa 70 aziende per creare in Inghilterra un’economia circolare per le plastiche. Anche questa iniziativa nazionale riprende gli obiettivi del programma  NPE della Ellen MacArthur Foundation  che è partner dell’iniziativa, insieme a Wrap (Waste and Resources Action Programme).

Tra i firmatari ci sono, logicamente,  le stesse multinazionali già aderenti al piano NPE e le grandi catene di supermercati britanniche come Tesco, Sainsbury’s, Morrisons, Aldi, Lidl e Waitrose, che, come si legge sul sito dell’iniziativa, sono responsabili dell’80% (almeno) degli imballaggi di plastica immessi al consumo nel Regno Unito. Altri firmatari sono vari soggetti rappresentanti dell’intera catena del valore  delle materie plastiche come istituzioni governative, aziende, e ONG.
Gli aderenti al Plastics Pact si impegnano entro il 2025 ad utilizzare esclusivamente imballaggi in plastica :

  • che siano riutilizzabili, riciclabili o compostabili;
  • che siano effettivamente riciclati o compostati per almeno il 70% dell’immesso;
  • che contengano il 30% di materiale riciclato

Il 30% “che manca all’appello” è verosimilmente composto da quella quota di imballaggi “monouso problematici o superflui” che può essere eliminata attraverso una riprogettazione del packaging o dei delivery models (sistemi di commercializzazione) che permettano il riuso dei contenitori e nel segno dell’innovazione.


Al momento parrebbe che tra gli aderenti al patto solamente la catena Morrisons abbia espresso degli impegni che vanno nella direzione di ridurre o eliminare il packaging permettendo ai clienti di utilizzare i propri contenitori per l’acquisto di carne e pesce. Per quanto riguarda il settore ortofrutta verrà fatta da Morrisons una valutazione su come ridurre l’imballaggio in plastica evitando che aumenti lo spreco di ortofrutta. Purtroppo la scelta non è, inaspettatamente, caduta su un sacchetto riutilizzabile ma su sacchetti in carta. Puntualmente sono arrivati commenti poco entusiasti da parte di esperti ambientali tra i quali Chris Goodall che ha giudicato la scelta “retrograda”.

L’insegna Iceland (specializzata in surgelati) ha fatto sapere che supporta l’iniziativa ma dall’esterno, in quanto la decisione già presa di  eliminare tutti gli imballaggi in plastica al 2023 dai prodotti a marca propria, supererebbe gli obiettivi del patto. Secondo quanto sino ad ora dichiarato dal direttore Richard Walker alla stampa, gli imballaggi in plastica verranno sostituiti da imballaggi a base cellulosica.

IMPEGNI VOLONTARI PREMIANO IL RICICLO

Arriviamo ora a quali sono, a nostro parere, le luci ed ombre che questi impegni volontari racchiudono. Come considerazione generale va rilevato che l’obiettivo riciclabilità fa la parte del leone, insieme a quello di creare uno sbocco per la plastica riciclata attraverso un maggiore impiego di plastica post consumo nella realizzazione del packaging.

Mancano invece nella maggior parte delle azioni annunciate ad oggi, target specifici di riduzione delle quantità di imballaggi immessi al consumo, attuabili attraverso interventi di prevenzione, che possono anche comprendere sistemi di riuso dei contenitori, come nel caso di Morrison.

Pertanto, a meno che non arrivino dalle aziende delle integrazioni in corso d’opera, gli impegni non rispecchiano l’ordine di priorità della gerarchia di gestione dei rifiuti europea che vede il riciclo al terzo posto, dopo la prevenzione e la preparazione al riutilizzo. D’altronde, guardando al passato, non è una novità che gli accordi di natura volontaria, seppur necessari e auspicabili, hanno si portato a dei miglioramenti in qualche area – come una riduzione delle materie prime impiegate agendo sul peso dei contenitori- ma non hanno inciso sul consumo di packaging, che è aumentato negli anni, e sull’adozione dell’ecodesign finalizzato a prevenzione, riuso e riciclo.

Un rischio connesso all’affidarsi esclusivamente ad accordi fondati  su impegni volontari, può essere quello di rimanere in attesa dei risultati ritardando l’adozione di un quadro legislativo e altre misure, che invece sarebbero necessarie per le stesse aziende che vogliono adottare modelli circolari, senza perdere di competitività. Un altro punto di debolezza comune a tanti accordi volontari è spesso l’impossibilità da parte dei governi o di altri enti terzi, di verificare, misurare e valutare gli obiettivi raggiunti, o meno.

Considerando che la Ellen McArthur Foundation è diventata un punto di riferimento mondiale per la promozione dell’economia circolare, e che il programma The NPE rappresenta la più importante e azione volontaria mai tentata prima a livello globale, è importante che l’iniziativa risponda alle aspettative che ha creato sulla reale capacità e volontà delle aziende di autoregolarsi. Infatti la fondazione, che ha basato l’iniziativa sulla volontarietà, non ha espresso la sua posizione circa quelle policy, misure e strumenti che sono state acclarate come imprescindibili per uno sviluppo dell’economia circolare da vari esperti e think tank internazionali.

Nonostante le promettenti dichiarazioni a favore dell’ambiente che ci arrivano dei decisori industriali di rilevanza internazionale, ad esempio rispetto all’assumersi la responsabilità di preservare l’ambiente per le generazioni che verranno, le azioni che poi in concreto le aziende intraprendono vanno di fatto  in un’altra direzione. Soprattutto quando si tratta di porre un limite al consumo di risorse (causa di numerosi effetti collaterali negativi tra cui la produzione di rifiuti e l’inquinamento)  le azioni maggiormente intraprese ad oggi hanno puntato soprattutto a ridurre il danno.

Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) per sostenere la richiesta di risorse da parte della popolazione mondiale al 2030 avremo necessità del 40% in più di legname e fibre cellulosiche (2), del 40% in più di acqua , del 50% in più di cibo e del 40% in più di energia. Tenendo conto che la popolazione aumenta non sarà possibile centrare i maggiori impegni di riduzione delle emissioni di gas serra senza una riduzione nella domanda di materie prime . Paradossalmente le strategie di mitigazione climatica dei paesi europei come ha osservato Anders Wijkman, uno dei copresidenti del Club di Roma autore dello studio Circular economy and benefits for society, si concentrano quasi esclusivamente su come ridurre il consumo energetico. Questo nonostante esista una correlazione molto stretta tra consumo dei materiali e il consumo di energia. Se si impiegasse invece una quantità maggiore di materiali secondari, e si introducessero modelli di business circolari basati su riuso e condivisione dei beni, ridurremmo la pressione sulle attività estrattive (e natura), il fabbisogno energetico e le emissioni di gas climalteranti associate ai processi produttivi. Anche le aziende seguono, evidentemente, la stessa logica.

Come ha rilevato un’indagine sul livello di adesione dell’economia circolare in Italia da parte della filiera italiana degli imballaggi condotta dall’Osservatorio Green Economy di IEFE Bocconi e Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa (3) la riduzione della dipendenza da materie prime non è ancora un’esigenza sentita dalle aziende. Dovendo queste ultime indicare, in ordine di priorità, le motivazione che maggiormente le avrebbero spinte verso decisioni orientate ad una maggiore circolarità le aziende interrogate hanno indicato ai primi posti l’aumento dell’efficienza , la riduzione dei costi, l’incremento della soddisfazione dei clienti, la riduzione degli impatti aziendali e dell’impronta ambientale dei prodotti, l’esigenza di conformarsi alle legislazioni, e via dicendo. All’ultimo posto figurava la necessità di ridurre la dipendenza aziendale dalle materie prime.

(2) –Deforestazione: nel 2017 il mondo ha perso “un’Italia” di alberi.

In 17 anni nulla è cambiato. “Inalterato il tasso di deforestazione”  Nonostante gli sforzi globali…

(3) La transizione ad una circular economy e il futuro del riciclo degli imballaggi in Italia. Indagine sul livello di adesione dell’economia circolare in Italia da parte della filiera italiana degli imballaggi commissionata da Conai e condotta dall’Osservatorio Green Economy di IEFE Bocconi e Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Presentazione.

 

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