Le nostre proposte per un Parlamento virtuoso

 

Una delegazione del comitato direttivo dell’Associazione Comuni Virtuosi è stata ricevuta oggi dal Presidente della Camera on. Roberto Fico. A questo proposito è stato elaborato un documento che di seguito presentiamo, contenente alcune sollecitazioni e conseguenti proposte che rivolgiamo al Parlamento, nella speranza che l’attività legislativa sia sempre più orientata a rendere il nostro Paese un modello vincente rispetto al tema della sostenibilità ambientale e un esempio da seguire per il resto d’Europa.

BENI COMUNI

L’Associazione Nazionale dei Comuni Virtuosi fin dalla sua nascita è attenta alla tutela dei beni comuni e promuove il riconoscimento della categoria giuridica di bene comune. I Comuni Virtuosi si avvicinano a questo tema attraverso la delicata vicenda della gestione delle risorse idriche, impegnando i propri amministratori nella straordinaria campagna per il referendum abrogativo del giugno 2011.

Tuttavia, ancor prima del referendum che ha sancito la fuoriuscita dell’acqua dalle logiche di mercato e profitto, nell’ambito del Forum italiano dei movimenti per l’acqua, l’Associazione prende parte alla fondazione del Coordinamento nazionale enti locali per l’acqua bene comune. E sempre sul tema della ri-pubblicizzazione dell’acqua, ricordiamo il nostro contributo nella Regione Lazio a sostegno della proposta di legge di iniziativa popolare. Promossa dai comitati e sostenuta nel 2012 dalle deliberazioni di diversi consigli comunali, la proposta diventa legge (n. 5/2014) con il voto unanime dell’assemblea regionale. La legge del Lazio definisce l’acqua un diritto umano universale, individua nuovi ambiti territoriali ottimali attraverso ambiti di bacino idrografico sulla base delle conformazioni idrografiche e infrastrutture idrauliche già presenti sul territorio, considera le richieste di salvaguardia delle gestioni da parte dei comuni e dei consorzi nel rispetto dei princìpi di sussidiarietà e integrazione dei servizi di captazione, distribuzione, fognatura e depurazione, prevede la ri-pubblicizzazione del servizio idrico, favorendo l’adozione di un piano di riassetto idrogeologico e idraulico del territorio regionale per il riammodernamento di tutte le reti idriche e dei depuratori.

Per queste ragioni oggi sosteniamo la proposta di legge C. 52 Daga recante “Disposizioni in materia di gestione pubblica e partecipativa del ciclo integrale delle acque”. Una proposta che peraltro si richiama in modo esplicito al testo referendario. La posizione dei Comuni Virtuosi è che la gestione di questo bene comune indispensabile per la vita dei singoli e delle comunità debba essere pubblica senza concedere la possibilità di partecipazione ai soggetti privati. L’esperienza insegna che i privati con la loro politica del profitto mirano ad aumentare i dividendi, svalutare i patrimoni e diminuire gli investimenti. Elemento necessario, esauribile e non riproducibile, l’acqua deve essere curata, tutelata e amata perché sul dovere di restituirla ai nostri figli si fonda il patto tra le generazioni. Le comunità hanno il diritto-dovere di mantenere la sua gestione perché solo così il governo dell’acqua resta e resterà nelle mani dei cittadini, i soli legittimati a decidere del suo futuro al fine di assicurare a tutti il bene comune primario.

Per questo riteniamo che la proposta Daga vada nella giusta direzione. Una proposta che mira al bene dei cittadini e della comunità, come delle aziende idriche e di chi vi lavora, irrobustita dalla previsione all’art. 14 di un fondo per gli investimenti nel servizio idrico integrato e dal fondamentale ricorso alla fiscalità generale. Inoltre, stiamo seguendo con attenzione il lavoro del neonato Comitato popolare in difesa dei beni comuni, sociali e sovrani. Un lavoro che trova il suo fulcro in una proposta di legge di iniziativa popolare, un testo che rinvia al documento elaborato dalla Commissione sui beni pubblici presieduta da Stefano Rodotà, istituita presso il Ministero della giustizia con decreto del 21 giugno 2007.

Anche noi vogliamo ripartire da quel testo perché, come ci ricordano i giuristi Ugo Mattei e Alberto Lucarelli, le leggi sul demanio e sulla proprietà pubblica, e la stessa Carta costituzionale, non sono state in grado di tutelare i beni e i diritti dei cittadini. Al contrario, hanno aperto la strada ai processi di privatizzazione, contribuendo all’impoverimento del paese e al saccheggio delle risorse naturali, delle infrastrutture, dei servizi pubblici e dei diritti sociali. L’obiettivo è introdurre nel nostro ordinamento giuridico le categorie dei beni comuni (risorse naturali), dei beni sociali (istruzione, ricerca, lavoro, salute) e dei beni sovrani (infrastrutture strategiche, servizi pubblici essenziali) al fine di dare piena attuazione alla Carta fondamentale. Ma per fare questo occorre ridefinire i rapporti di uso pubblico, proprietà pubblica e bene pubblico, facendo prevalere la categoria del bene pubblico in uso pubblico rispetto a quella di bene pubblico in proprietà pubblica.

L’interesse per i beni comuni, dunque, se da una parte ci spinge a partecipare al dibattito in corso e a seguire la riflessione su come salvaguardare gli interessi generali e limitare la discrezionalità del proprietario pubblico sui beni identificati come extra commercium(cfr. A. Lucarelli, in «Nomos», 2-2017), dall’altra ci impegna come amministratori a favorire i processi partecipativi di accessibilità e fruibilità, partendo necessariamente dalle nostre comunità.

L’assurda offensiva della lobby a favore di nuovi inceneritori: le proposte dell’associazione Comuni Virtuosi

Negli ultimi mesi si assiste ad una anacronistica campagna mediatica a favore del potenziamento della capacità di incenerimento che, se dovesse riuscire ad influenzare le attuali scelte strategiche del governo, collocherebbe l’Italia ai livelli dei paesi più arretrati dell’Ue. Infatti, in Italia, dove sono presenti le maggiori eccellenze mondiali del riciclo, come ad esempio vari consorzi pubblici del nord est e nord ovest, risulta invece necessario adottare strategie più avanzate, razionali e lungimiranti. Ed infatti le più recenti normative europee di settore indirizzano verso l’economia circolare, la riduzione, il riuso ed il riciclo e non verso il recupero energetico. Per limitare i rifiuti da avviare a discarica a livello europeo la gerarchia dei rifiuti colloca infatti al penultimo posto l’incenerimento ed il recupero di energia. La motivazione che ha spinto anche nazioni che in passato hanno puntato sull’incenerimento a voltare pagine è infatti principalmente la consapevolezza che tali impianti sono estremamente costosi, molto rigidi nella gestione, e si caratterizzano da lunghi tempi di messa in funzione per il loro ammortamento senza dimenticare gli elevati impatti ambientali sia per le emissioni in atmosfera che per le scorie che producono a seguito del processo di combustione. Puntare invece sull’incenerimento (o “termovalorizzazione” per usare il termine coniato in Italia che non trova alcun riscontro in Europa) significherebbe impegnare enormi risorse per realizzare enormi e costosissimi impianti che per la messa a regime necessiterebbe di tempi lunghi vincolando poi i comuni dell’ambito regionale o provinciale di riferimento a conferire un quantitativo predeterminato di rifiuti per l’intero periodo di ammortamento degli impianti (15-20 anni). Per i Comuni questi vincoli si configurerebbe inevitabilmente come un invalicabile disincentivo ad attuare politiche virtuose con il deterrente dell’applicazione di penali per mancato rispetto degli obblighi contrattuali se il singolo comune virtuoso dovesse produrre un quantitativo di rifiuto indifferenziato inferiore rispetto a quello prestabilito. La stessa Commissione europea nella comunicazione del 26 gennaio 2017 invita la Banca Europea per gli investimenti a limitare i finanziamenti agli inceneritori e agli impianti di recupero energetico perché tali impianti sono in netto contrasto con una azione sostenibile nell’ambito della gestione dei rifiuti. La principale carenza di impianti al Centro e al Sud è invece quella per il trattamento della frazione organica, con produzione di compost e di biometano, e di impianti di riciclaggio delle frazioni secche. Risultano quindi necessarie strategie fiscali e normative che possano tutelare e potenziare l’industria del riciclo nazionale. Non si comprende perché ai prodotti ottenuti da materie seconde venga applicata la stessa aliquota iva dei prodotti ottenuti da materie prime. Si deve inoltre considerare che nella produzione di carta circa un terzo dei costi è imputabile all’energia e un terzo alla manodopera. Il costo della bolletta energetica per l’industria cartaria italiana è rispettivamente del 26% e del 37% più elevato di quello francese e tedesco. La Francia ha infatti deciso di sostenere il consumo del macero entro i propri confini riducendo il costo dell’energia elettrica fornita alle cartiere.  Le direttive comunitarie stabiliscono infatti la necessità di dar vita ad una “società europea del riciclaggio” ma per farlo realmente è infatti necessario favorire il riciclo preferibilmente in impianti operanti vicini al luogo di raccolta sull’esempio di quanto operato in Francia, Germania, Spagna ecc. Per aumentare il riciclo servono inoltre imballaggi più facilmente riciclabili ma, anche se a gennaio 2018 è entrato in vigore il nuovo sistema ideato da Corepla per gli imballaggi in plastica che prevede il pagamento di un Contributo Ambientale CAC differenziato sulla base del circuito di provenienza, non è stata rilevata alcuna reale inversione di tendenza. Nel volume “20 anni di gestione degli imballaggi: cosa è stato fatto, cosa resta da fare[1]come ACV siamo stati l’unica voce nel panorama nazionale ad avere espresso delle perplessità sul sistema introdotto da Corepla che si sta in effetti rivelando poco efficace. Infatti, l’assurda scelta di applicare tre soglie contributive differenziate a tre categorie di imballaggi che includevano ognuna sia imballaggi eterogenei difficilmente o per nulla riciclabili che di tipo monomateriale (facilmente riciclabili) non risultava fin da subito conforme all’obiettivo assunto di una maggiore penalizzazione degli imballaggi più problematici. A distanza di un anno Corepla ha infatti modificato tale sistema diversificando la contribuzione in 4 classi merceologiche penalizzando finalmente le bottiglie in PET opacizzate, sleeverate, quelle in PLA chiamate biobottiglie, ecc non riciclabili che finiscono nella categoria C maggiormente svantaggiata a livello di contributo ambientale. Un passo in avanti anche se non decolla realmente una vera strategia che possa consentire una reale inversione di tendenza. Il Conai si dovrebbe inoltre impegnare maggiormente anche per la realizzazione di nuovi impianti e migliori tecnologie per il riciclo delle plastiche, e sono altresì necessari maggiori sbocchi per i materiali riciclati ed anche una rapida soluzione del buco normativo aperto in materia di “End of Waste” che sta causando gravi difficoltà a molti impianti di riciclo. A tal proposito si propone di recepire il citato articolo 6, introducendo con norma di legge dello Stato, oltre alle condizioni per la cessazione della qualifica di rifiuto, anche criteri specifici per la loro uniforme attuazione caso per caso da parte delle Regioni, confermando la validità dei decreti ministeriali e delle autorizzazioni vigenti, salvo accertate criticità ambientali per le quali procedere secondo le norme vigenti.

Sinergia tra misurazione puntuale e l’obiettivo di razionalizzazione della spesa pubblica

L’obiettivo della razionalizzazione delle spese nel settore dell’igiene urbana può essere più efficacemente perseguito introducendo sistemi di misurazione puntuali quale presupposto per la successiva introduzione della tariffazione puntuale per le seguenti ragioni:

  • la misurazione puntuale risulta ormai versatile e applicabile con qualsiasi sistema di raccolta rifiuti: sacchi, bidoncini, cassonetti, container, ecc.;
  • la misurazione puntuale può essere utilizzata anche per ricavare dei parametri utili per la tariffa presuntiva: i dati delle misurazioni possono essere utilizzati per una ripartizione equa dei costi del servizio fra utenze domestiche e non domestiche in considerazione anche delle politiche di assimilazione adottate;
  • la misurazione puntuale può fornire indicatori che permettono di monitorare l’efficacia, la qualità e la precisione del servizio (ad es. peso specifico come rapporto tra il peso totale del giro di raccolta e il totale dei volumi rilevati);
  • gli indicatori misurati e monitorati possono essere resi pubblici e devono costituire gli elementi con i quali si possano controllare le performance e la precisione dei servizi e calibrare al meglio i circuiti e le frequenze di raccolta e, in generale, i servizi resi.

L’Ispra haanalizzato le performances di 102 comuni che applicano sistemi di tariffazione puntuale per complessivi 358.630 abitanti (analisi effettuata sulla base di un database di 1.892 comuni per complessivi 22,6 milioni di abitanti, pari al 37,27% della popolazione totale). Dal confronto regionale fra i costi del campione dei comuni a Tari normalizzata e dei dati dei costi dei comuni solo a tariffa puntuale si rileva che:

  • In Piemonte si registra una diminuzione dei costi nei comuni a tariffa puntuale di circa il 6%;
  • In Lombardia si registra una diminuzione dei costi nei comuni a tariffa puntuale di circa il 3,4%;
  • in Trentino-Alto Adige si registra una diminuzione dei costi nei comuni a tariffa puntuale del 7%;
  • In Veneto si registra una diminuzione dei costi nei comuni a tariffa puntuale di circa il 20,5%;
  • In Friuli-Venezia Giulia si registra una diminuzione di costi nei comuni a tariffa puntuale del 14,6%.
  • In Emilia-Romagna si registra una diminuzione dei costi nei comuni a tariffa puntuale dell’8,8%.

Nel Rapporto rifiuti urbani del 2015, l’ISPRA evidenziava quindi che risulta evidente dall’analisi condotta sui costi pro capite, come l’aumento del livello di raccolta differenziata nei comuni a tariffa puntuale coniugato ad una gestione virtuosa del rifiuto urbano si traduca in una diminuzione significativa dei costi a carico del cittadino”.Se chi inquina paga in proporzione, il sistema di gestione risulta quindi più efficace dal punto di vista ambientale, ma anche più efficiente e meno oneroso per gli utenti.

Ulteriori riferimenti tecnici sui risparmi economici determinati dall’introduzione della tariffazione puntuale sono illustrati nello studio “10 percorsi europei virtuosi verso la tariffazione incentivante” redatto da ESPER per conto dell’Associazione Comuni Virtuosi in cui sono state analizzate le esperienze ed i risultati raggiunti in ambito europeo grazie all’introduzione della tariffazione puntuale[2].

 Proposte migliorative relative all’obbligo di calcolo dei “fabbisogni standard”

Si ritiene inoltre che per il concreto raggiungimento dell’obbiettivo che il governo intendeva raggiungere con l’introduzione del calcolo dei fabbisogni standard è necessario modificare ed affinare l’attuale impostazione del calcolo ed introdurre un modello dinamico capace di modulare progressivamente gli indicatori di analisi in una continua interlocuzione con i Comuni, assumendo nel tempo l’estrema complessità e variabilità delle gestioni dei rifiuti urbani in Italia. Si deve inoltre considerare che solo attraverso il confronto e l’analisi dei singoli comparti di spesa (raccolta differenziata, raccolta dell’indifferenziato, spazzamento, servizi accessori ecc.) si possono realmente individuare i comparti in cui si deve intervenire per rendere più efficace il servizio.

Si evidenzia inoltre che se l’analisi dei costi fosse operata per singola tipologia di servizio (introducendo l’obbligo negli appalti di far quotare in modo distinto i servizi di raccolta degli imballaggi) si potrebbero ottenere delle importanti sinergie con l’attuale esigenza della definizione di criteri oggettivi per la determinazione dei maggiori oneri legati alla RD dei rifiuti di imballaggio opportunamente modulati in relazione ai costi effettivamente sostenuti nelle diverse realtà territoriali del Paese.

Si rileva invece che spesso i Consorzi ed i Comuni, valutando che l’attività di incasso diretto dei corrispettivi Conai sia troppo complessa e poco remunerativa, preferiscono stabilire negli atti di gara che l’incasso di tali corrispettivi sia delegato al soggetto affidatario a fronte di un ipotetico sconto sul costo del servizio di igiene urbana, e quindi non conoscono quali siano i costi del servizio di raccolta degli imballaggi. Alcune Regioni, avendo rilevato che a causa delle conseguente deresponsabilizzazione i Comuni non avevano interesse a migliorare la qualità e quantità delle RD degli imballaggi, hanno quindi fatto divieto di delegare gli incassi dei corrispettivi Conai e tali divieti provvedimenti andrebbero estesi a tutto il territorio nazionale contestualmente ad una revisione dei Criteri Ambientali Minimi per l’affidamento  del servizio di gestione dei  rifiuti  urbani che, a distanza di 5 anni dalla loro approvazione, necessitano di una adeguata revisione ed integrazione per consentire una maggior controllo sulla qualità dei servizi erogati ed una contabilità separata dei servizi di raccolta degli imballaggi. Si deve infatti evidenziare che l’Agcm, Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ha presentato il 10 febbraio 2016 i risultati dell’indagine conoscitiva IC49 evidenziando anche che «…Gli obblighi ambientali europei richiedono ai produttori di imballaggio di farsi carico dei costi di gestione dei loro prodotti una volta diventati rifiuti. Al fine di consentire ai produttori di ottemperare a tali obblighi, il Legislatore italiano ha predisposto un sistema che si basa sul sostanziale monopolio del CONAI e dei consorzi di filiera… Questo modello ha contribuito significativamente all’avvio e al primo sviluppo della raccolta differenziata urbana e del riciclo in Italia. Ma ormai sembra aver esaurito la propria capacità propulsiva e produce risultati non più al passo con le aspettative. Il finanziamento da parte dei produttori (attraverso il sistema CONAI) dei costi della raccolta differenziata non supera il 20% del totale, laddove invece, dovrebbe essere per intero a loro carico…»[3]Attualmente la base dati dei costi di raccolta degli imballaggi risulta alquanto limitata proprio a causa del suddetto meccanismo di affidamento congiunto dei servizi di igiene urbana senza alcuna quantificazione separata di tali costi ed a causa delle deleghe all’incasso dei corrispettivi di cui sopra, anche se con il nuovo accordo ANCI-CONAI attualmente in discussione fossero aumentati in modo significativo l’importo di tali corrispettivi come proposto dall’AGCOM, solo la minoranza dei Comuni e consorzi che non hanno delegato tale incasso ai gestori privati del servizio potrebbero attenere un beneficio da tali aumenti.

La funzione strategica della misurazione puntuale nell’attività di controllo ed ottimizzazione dei costi

Il tema del monitoraggio, del controllo e della verifica dei servizi nella gestione di un servizio pubblico locale è di fondamentale importanza per il buon esito dei servizi di igiene urbana in generale e di raccolta domiciliare in particolare nonché per il contenimento dei costi complessivi. La pianificazione dell’attività di controllo e monitoraggio va attuata fin dalla fase di redazione del contratto di servizio e/o dei documenti di gara per massimizzare l’efficienza delle attività di verifica di eventuali disservizi prevedendo modalità di acquisizione delle informazioni semplici e facilmente fruibili (ad esempio stabilendo l’obbligo in capo all’appaltatore di fornire alla stazione appaltante in tempo reale i dati sulla posizione GPS dei propri mezzi d’opera e dei codici dei contenitori dotati di transponder effettivamente svuotati ). Queste tecnologie rendono più semplice l’introduzione della tariffazione puntuale ed al contempo più efficace il controllo dei conferimenti delle utenze e dei reali punti presa operati dagli addetti alla raccolta. Grazie alla misurazione puntuale l’amministrazione locale può quindi sostenere i costi solo per i servizi effettivamente resi dal gestore del servizio. Si rileva infatti che spesso gli enti locali non riescono a dedicare sufficienti risorse per il controllo dei servizi e non sono quindi in grado di applicare le necessarie penalità anche a fronte di ripetute inadempienze.

Proposte di revisione delle norme in materia di appalti pubblici

Il Presidente di ANAC ha recentemente lanciato un opportuno allarme dichiarando che “La situazione degli appalti in materia di rifiuti è caratterizzata in tutta Italia da una violazione sistematica delle regole del codice degli appalti” chiedendo altresì al legislatore di intervenire[4]. A tal proposito giova ricordare che è stata recentemente attribuita all’ANAC anche una nuova funzione di collaborazione preventiva nella fase iniziale con la stazione appaltante poiché l’art. 213 comma 3, lett. h, del d.lgs. n.50 del 2016 stabilisce che “per affidamenti di particolare interesse, l’Autorità svolge attività di vigilanza collaborativa attuata previa stipula di protocolli di intesa con le stazioni appaltanti richiedenti, finalizzata a supportare le medesime nella predisposizione degli atti e nell’attività di gestione dell’intera procedura di gara”. Il Regolamento ANAC sull’esercizio dell’attività di vigilanza collaborativa in materia di contratti pubblici, pubblicato in GU n. 178 del 1° agosto 2017, ha stabilito che risultano “di particolare interesse” solo gli affidamenti di lavori di importo superiore a 100.000.000 di euro o di servizi e forniture di importo superiore a 15.000.000 di euro rientranti in programmi di interventi realizzati mediante investimenti di fondi comunitari.

L’esigenza di azioni concrete risulta infatti sempre più attuale ed improcrastinabile e quindi, come Ass. Comuni Virtuosi, riteniamo che la progressiva estensione della supervisione preventiva dell’ANAC a tutte le gare di appalto potrebbe contribuire a ridurre drasticamente non solo gli illeciti ma anche il contenzioso che spesso blocca l’avvio dei lavori.Chi non ha niente da nascondere non ha nulla da temere da questa importante estensione di tale istituto mentre ha interesse ad ostacolare tale estensione solo chi predispone gli atti in modo da favorire alcuni specifici interessi. Inoltre, al fine di prevenire condotte illecite, l’ACV ed ESPER hanno recentemente collaborato con la Rete Rifiuti Zero per favorire l’adozione di un codice etico che impegni i professionisti che operano a supporto delle stazioni appaltanti a rispettare i seguenti vincoli:

  1. obbligo di denuncia agli organi preposti qualsiasi tentativo di turbativa, irregolarità o distorsione nelle fasi di svolgimento di un processo decisionale, di pianificazione o di procedura di gara e/o durante l’esecuzione dei contratti pubblici;
  2. evitare situazioni e/o attività che possano condurre a potenziali conflitti di interesse in particolare quando si opera a supporto di enti pubblici locali nell’attività di redazione di atti di gara evitando di accettare incarichi e consulenze da parte di imprese private che potrebbero partecipare alle suddette gare. Alcune imprese, assegnando incarichi a soggetti che operano abitualmente a supporto delle stazioni appaltanti pubbliche, possono infatti ottenere un indebito vantaggio rispetto ad imprese che non affidano a tali soggetti la redazione della propria offerta tecnica;
  3. non inserire nei documenti di gara o nei progetti redatti a supporto di enti pubblici locali il vincolo all’adozione di prodotti e/o strumenti tecnologici (contenitori, automezzi, specifici software ecc.) coperti da brevetti esclusivi. Il vincolo all’uso di specifiche attrezzature brevettate limita la competizione sul mercato e determina un indebito vantaggio al solo operatore economico che commercializza le attrezzature o le soluzioni tecnologiche coperte da brevetto. Per evitare che alcuni brevetti essenziali allo sviluppo di alcune soluzioni tecnologiche vengano impiegati in maniera impropria, a livello mondiale è stata infatti sviluppata una soluzione che consiste nel regolare un impegno irrevocabile a concedere la licenza di utilizzo del proprio brevetto a condizioni Eque, Ragionevoli e Non Discriminatorie, ossia a condizioni di utilizzo FRAND (Fair, Reasonable, And Non-Discriminatory) verificate degli organismi di normalizzazione.

Nell’opera di revisione normativa in materia di appalti si propone quindi di porre particolare attenzione anche alle suddette criticità al fine di ottenere un reale cambio di passo in tema di lotta alla corruzione nel settore degli appalti pubblici. In Italia la corruzione “divora” infatti 10 miliardi di prodotto interno lordo all’anno poiché fa diminuire gli investimenti esteri del 16% e fa aumentare del 20% il costo complessivo degli appalti[5]

[1]Fonte https://comunivirtuosi.org/venti-anni-gestione-degli-imballaggi-volume/

[2]Fonte http://comunivirtuosi.org/wp-content/uploads/2016/12/10-percorsi-virtuosi.pdf

[3]Fonte: http://www.agcm.it/stampa/comunicati/8074-ic49-indagine-conoscitiva-sul-mercato-dei-rifiuti-urbani-meno-discariche-più-raccolta-differenziata.html

[4]Fonte https://www.repubblica.it/cronaca/2019/01/30/news/cantone_appalti_per_i_rifiuti_in_mano_alle_mafie-217821315/

[5]Fonte http://www.today.it/economia/corruzione-dati-italia.html