Ma è vero che l’Italia non ha bisogno di un DRS in quanto “eccellenza del riciclo”?

Aumento del quantitativo di plastica riciclata
Secondo lo studio Eunomia, l’introduzione di un DRS migliorerebbe significativamente la raccolta ed il riciclo dei contenitori per bevande in plastica. Utilizzando i dati disponibili al momento, la percentuale di avvio a riciclo salirebbe dal 61,5% al 94,4%, con un incremento di circa il 33%. Contestualmente, il risparmio annuale di emissioni di gas serra associato supererebbe le 600.000 tonnellate di CO2eq. Come già evidenziato in precedenza, inoltre, utilizzando i nuovi dati forniti da CONAI sull’attuale tasso di intercettazione delle bottiglie in PET per bevande, al netto dei quantitativi di bottiglie disperse nel plasmix, l’aumento del tasso di avvio a riciclo in presenza di un DRS sarebbe ancora superiore, pari a circa 40 punti percentuali (dal 55% al 94,4%). Non poco per un paese che, solo di acqua minerale, consuma quasi 15 miliardi di litri di acqua confezionata all’anno (di cui oltre l’80% in PET) e che produce oltre 400 mila ton. di rifiuti di bottiglie in PET per bevande.


4) Non vogliamo un DRS perché sarebbe troppo costoso per produttori e distributori
In un Paese come l’Italia, afferma il CONAI, l’introduzione di un DRS comporterebbe la necessità di distribuire capillarmente sul territorio nazionale circa 100.000 Reverse Vending Machine, “per un investimento iniziale di circa 2,3 miliardi di euro, e un costo di gestione di circa 350 milioni di euro all’anno”.
Le analisi condotte da Eunomia a partire dai casi reali di sistemi DRS già attivi negli altri paesi e tenuto conto degli elementi che caratterizzano la specificità italiana, restituiscono numeri ben diversi: il quantitativo di RVM che sarebbe necessario installare nel nostro paese sarebbe 4 volte inferiore (25.000 unità); il costo annuo lordo dell’introduzione di un DRS in Italia ammonterebbe a 641,8 milioni di euro. I ricavi dalla vendita dei materiali raccolti per il riciclo e i depositi non riscossi compenserebbero parte di questo costo annuo lordo, fornendo rispettivamente un contributo di 232,4 milioni di euro (circa il 36% dei costi di gestione) e 328 milioni di euro (circa il 51% dei costi di gestione). I produttori pagherebbero quindi la differenza, con un costo netto stimato di 81,4 milioni di euro (circa il 13% dei costi di gestione). Parallelamente, l’importo della “Plastic tax” versata annualmente dall’Italia (e quindi da tutti i contribuenti) nella casse europee per i rifiuti di imballaggio in plastica non riciclati si ridurrebbe di circa 100 milioni di euro grazie all’aumento del tasso di riciclo effettivo delle bottiglie in PET per bevande conseguente l’introduzione del DRS.


I rivenditori che ospitano i punti di raccolta del DRS sarebbero ricompensati economicamente tramite le c.d. commissioni di gestione. L’installazione, l’acquisto o il noleggio delle RVM e l’eventuale manutenzione comportano infatti dei costi, ai quali si aggiungono i costi riconducibili allo spazio occupato dalla macchina e dall’area di stoccaggio dei rifiuti. Le commissioni di gestione (per contenitore restituito) per i rivenditori che acquistano e mettono a disposizione una RVM sono stimati nell’ordine di 3,50 centesimi, 2,99 centesimi e 4,23 centesimi per plastica, metallo e vetro. Per i rivenditori che gestiscono punti di restituzione manuali, la commissione di gestione è stimata, rispettivamente, intorno ai 3,31, 1,86 e 3,37 centesimi per contenitore restituito. In entrambi i casi, la commissione di gestione viene coperta dal gestore del DRS mediante i ricavi dalla vendita dei materiali, i depositi non riscattai e, in quota marginale, tramite il contributo EPR. Con un tasso di raccolta del 90%, la stima delle commissioni di gestione totali pagate a tutti i rivenditori obbligati ammonta a circa 419 milioni di euro, di cui 389,3 milioni di euro verrebbero versati ai rivenditori con RVM e 29,7 milioni di euro ai rivenditori con punti di raccolta manuali, in considerazione del quantitativo molto più elevato di contenitori intercettati dai primi rispetto ai secondi.

In conclusione

In conclusione, a meno che non si voglia incorrere in infrazioni europee, non rimane molto tempo per abbandonarsi al c.d. wishful thinking e ad atti di fede. Abbiamo a disposizione casi europei di successo nell’implementazione di un DRS e come campagna “A Buon Rendere” abbiamo messo a disposizione i dati del nostro uno studio per avviare un dialogo sul sistema che vorremmo per l’Italia. L’Italia rischia davvero di essere l’ultimo Paese Membro a cogliere i vantaggi di un DRS nella sua strenua difesa dell’esistente – basata spesso su argomentazioni non sostanziate da numeri ed evidenze rese disponibili – che qui ho ripercorso solamente in parte. Intanto, nel corso dell’estate sono stati fatti passi in avanti per l’introduzione del sistema in Paesi come PoloniaRepubblica Ceca e Kosovo. A fine novembre partirà il DRS in Romania e con l’inizio del 2024 in Ungheria e Irlanda.

Silvia Ricci- Coordinamento Operativo Campagna

Un documento di approfondimento sulle obiezioni che circolano in Italia rispetto all’implementazione di un sistema di deposito cauzionale è disponibile qui.

1) Metodo definito all’interno della Decisione di esecuzione (UE) 2021/1752, all’art. 2, par. 6, 7 e 8). Vedi pag. 240 del “Programma generale di prevenzione e gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio 2023” pubblicato da Conai.

 

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