Milano: l’acqua del Sindaco diventa “à porter” in brick “ecologici e sostenibili”
L’iniziativa del Comune di Milano con l’acqua del Sindaco imbottigliata “à porter”, comoda e sostenibile, da consumare ovunque” fa a cazzotti con l’ecologia e la sua opportunità in un modo così evidente, che solamente (o quasi) il marketing dietro al lancio non è stato in grado di capire e prevedere.
L’iniziativa presentata dall’assessora all’Ambiente Elena Grandi del Comune Di Milano con il presidente e direttore di MM in occasione della Giornata mondiale dell’acqua di martedì scorso ha suscitato un certo sconcerto. Anche nella sottoscritta che ritiene mettere la firma a questa iniziativa sia controproducente e nonostante la stima che si possa nutrire nei confronti dell’assessora Grandi certamente in buona fede. Non si era infatti mai visto un’Amministrazione Comunale promuovere l’acqua del Sindaco imbottigliandola per poi presentarla come un’iniziativa ideata per “valorizzare la qualità dell’acqua cittadina da oggi consumabile ovunque, comoda e a km zero” come si può leggere sul sito del comune.
Non è chiaro se questo impianto di riempimento dalla potenzialità di 2.000 cartoni/ora opererà a pieno ritmo nella produzione di brick in poliaccoppiato (500 o 250 ml) definiti “completamente riciclabili e prodotti in modo ecosostenibile“. L’acqua confezionata da MM per il momento – si legge sul sito – sarà destinata alla Protezione civile per la distribuzione alla cittadinanza in caso di guasto o interruzione localizzata del servizio e, se richiesto, potrà essere distribuita nel corso di eventi particolari sul territorio milanese come le ‘week’, i concerti, le manifestazioni culturali e sportive nonché essere utilizzata per i bisogni interni degli uffici del Comune di Milano e delle sue controllate. Il layout della confezione in cartone ha inoltre il vantaggio di essere completamente personalizzabile in funzione dell’iniziativa o dell’utilizzatore finale. Anche se l’operazione non ha carattere commerciale, questa precisazione suona un pò curiosa. O forse, anche inquietante in quanto si allinea all’ultimo trend di gadgettizzazione di un bene comune come è alla fine l’acqua, e la sua disponibilità. Dopo mesi di siccità preoccupante serve decisamente presentare altri piani concreti per preservarne la disponibilità futura e adottare una diversa narrativa nella comunicazione se si vuole ottenere il contributo dei cittadini.
La strada verso l’inferno è spesso lastricata di buone intenzioni
Questa iniziativa del Comune di Milano, come ho avuto modo di commentare su Linkedin, – per rimanere in tema, fa “acqua da tutte le parti” – e provo a spiegare il perché.
In prima battuta le iniziative di promozione dell’acqua del Sindaco hanno sempre fatto leva sugli aspetti ambientali positivi connessi alla mancata produzione di rifiuti, e di risparmio sulle emissioni di gas ad effetto serra, che si ottengono proprio evitando l’acqua in bottiglia. Impiegando infatti contenitori riutilizzabili si mette in pratica l’opzione ambientalmente più vantaggiosa che, anche secondo la gerarchia EU è quella che non produce rifiuti .
Il riuso vince quando la progettazione è sistemica
Uno studio pubblicato nel 2020 dell’Università di Utrecht “Reusable vs single-use packaging” che ha comparato gli esiti di 11 studi LCA che avevano misurato a loro volta gli impatti ambientali di opzioni monouso versus corrispettivi riutilizzabili ha mostrato il vantaggio ambientale connesso all’impiego dei diversi contenitori riutilizzabili. Non credo che nessuno abbia l’intenzione di controbattere perché lo studio dice chiaramente che la filiera deve essere a corto raggio o comunque entro un certo range chilometrico. Non va infatti progettato solamente l’imballaggio “sostenibile” ma il sistema in cui lo stesso esplica il suo ciclo di vita che deve essere craddle to craddle, se vogliamo parlare di reale sostenibilità.
Plastifree un claim fuorviante che ha creato più danni che cultura
Perché non mettere i milanesi in condizione di fare maggior uso delle migliaia di borracce regalate loro negli ultimi anni che rischiano di rivelarsi inutili gadget, acquistati oltretutto anche con risorse finanziarie pubbliche. Soldi che potevano essere meglio impiegati installando nuovi punti di refill nei luoghi di maggior passaggio sull’esempio delle ferrovie olandesi ma anche dell’aeroporto Schipol.
Quante sono le borracce che vengono ancora usate con frequenza? Perché i cittadini contribuenti che bevono l’acqua del rubinetto senza produrre rifiuti e riducono il loro impatto ambientale dovrebbero sovvenzionare indirettamente iniziative del genere?
Purtroppo questa iniziativa, al contrario di quanto gli ideatori si sono augurati credo vada in tutt’altra direzione di una sensibilizzazione al consumo dell’acqua potabile. La pubblicità occulta viene d’altronde praticata perché funziona, e la foto del brick manda un messaggio eloquente, che va ben oltre alle parole di contorno e alle intenzione dei proponenti, mandando un evidente assist ad un gruppo di interesse. Promuovere l’acqua del rubinetto verso i cittadini non può certamente coincidere con un allungamento della filiera del suo consumo e un evidente aggravio sul prelievo di risorse e del livello di emissioni (evitabili).
Tempo di sostanziare i green claims evitando il greenwashing
L’iniziativa europea sui #GreenClaims è nata proprio perché i consumatori non sono in condizione di distinguere più il “falso dal vero” e per proteggerli serve una regolamentazione degli stessi che devono essere sostanziati, Sia per fugare ogni sospetto di greenwashing che per una leale concorrenza tra le imprese. C’è stata anche in Italia una sentenza del Tribunale di Gorizia che cita l’articolo 12 del Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale, secondo cui “la comunicazione commerciale che dichiari o evochi benefici di carattere ambientale o ecologico deve basarsi su dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili”.
Non esistono di fatto materiali sostenibili in cicli di utilizzo insostenibili.
In questo caso abbiamo un ente locale che fa una scelta, a mio avviso in contraddizione con la sua missione ambientale, e che non può pertanto limitarsi a dichiarare, o fare intendere come fanno le imprese commerciali, che i cartoni in poliaccoppiato (detti brick) siano una scelta più sostenibile rispetto ad altre confezioni poiché “riciclabili e prodotti in modo ecosostenibile.”
Uno studio LCA commissionato da Tetra Pak del 2020 menzionato in un precedente articolo “Comparative Life Cycle Assessment of Tetra Pak® carton packages and alternative packaging systems for beverages and liquid food on the European market”a cura dell’Ifeu ha rilevato che i cartoni escono vincenti in una sola delle 8 categorie di impatto analizzate, che è quella del potenziale di riscaldamento globale. Non escono invece totalmente vincenti nelle altre 7 categorie di impatto prese in considerazione dalla maggioranza degli studi LCA. Pesa anche sui risultati per certi aspetti il dato di fatto che i poliaccoppiati sono difficili da riciclare nelle cartiere non specializzate e che pertanto i brick conoscono una percentuale di riciclo a livello globale piuttosto modesta: 27% nel 2020.
Venendo alle conclusioni, lascia perplessi l’idea di fondo sposata dall’iniziativa milanese di considerare l’acqua come un gadget a marchio proprio, che sta diventando popolare negli ultimi tempi. Un trend che fa largo uso della narrazione fuorviante sui cosiddetti “materiali sostenibili”, un’eredità delle campagne plastic free che è stata però sapientemente capitalizzata dalle aziende produttrici di materiali concorrenti della plastica allo scopo di trarne un vantaggio competitivo.
Una narrazione che ha saputo fare presa sul cittadino medio che si è quasi convinto che la plastica sia una sfida ambientale più temibile degli effetti del riscaldamento climatico, e che sostituendo un materiale monouso invece che modificare i modelli di consumo, si possa salvare capra e cavoli.
Una narrazione che ha fatto evidentemente presa anche a Milano e anche presso l’azienda che ha l’appalto dei punti di ristoro a Ecomondo dove i brick hanno rimpiazzato altri contenitori, e persino l’unico punto presente di acqua alla spina dell’edizione precedente del 2019.
In conclusione penso che le aziende sono ovviamente libere di vendere ciò che è lecito vendere se i consumatori acquistano, e vinca il migliore, ma per favore anche basta con queste narrazioni da “benefattori dell’ambiente”. Non se ne può più.
Silvia Ricci
(pubblicato precedentemente sul mio blog di Polimerica.it)