Non dismettiamo i fusti di birra riutilizzabili: un appello a Carlsberg, e non solo

UN APPELLO PER UNA REALE ECONOMIA CIRCOLARE DEL PACKAGING

Sono diversi gli studi condotti nel settore degli imballaggi industriali ( e non solo) che hanno certificato il minore impatto ambientale ed economico dei sistemi riutilizzabili. Pertanto la logica che dovrebbe guidare l’innovazione non può che essere quella dell’economia circolare, e cioè della prevenzione degli impatti ambientali e anche attraverso il riutilizzo. Lo suggerisce il piano The NPE: Catalysing Action prima citato che vede, e soprattutto nel settore B2B un alto potenziale di sviluppo per il riuso visto i casi di successo tra cassette, pallet, ecc. Questa strategia si può attuare attraverso la riprogettazione del packaging non riciclabile ( che può essere smaterializzato o reso riutilizzabile o riciclabile) e/o una riprogettazione dei delivery models ( o metodi di erogazione) che, come nello specifico caso della birra alla spina, possono escludere la necessità di impiegare imballaggi a perdere. Anche uno studio di qualche tempo fa di Cresv Bocconi aveva indicato nella prevenzione la vera innovazione verso la sostenibilità del packaging.

Non resta che fare un appello al mondo della birra ma anche del vino che si è orientato o pensa di farlo verso questa opzione, e in particolare a Carlsberg Italia che ha fatto della sostenibilità e responsabilità di impresa il suo cavallo di battaglia. Dal 2016 con ResponsiBEERity Carlsberg ha dichiarato di aver ampliato l’approccio dall’essere ambientalmente sostenibili a una visione che si assume una maggiore responsabilità anche dal punto di vista sociale. Alberto Frausin, amministratore Delegato di Carlsberg Italia in occasione della presentazione dell’ultimo bilancio di sostenibilità affermava “La chiave vincente della sostenibilità è che tutti si sentano responsabili, senza delegare ad altri, e con azioni che devono essere perseguite giorno per giorno.”
L’appello consiste nel rivedere il sistema alla luce del nuovo sforzo corale guidato dalla Fondazione Ellen McArthur con il programma NPE di riconvertire l’attuale gestione lineare della materie plastiche responsabile della più consistente e nefasta del marine litter, in un’occasione di economia sostenibile. Dal lancio del piano di azione Catalysing Action sempre più aziende si sono unite al programma  sposandone gli obiettivi, e anche l’industria del Beverage con l’ultima adesione di Pepsi Cola è presente.La parte più sfidante e complicata, come vedremo in un prossimo approfondimento, è quella di quali strumenti legislativi si debbano mettere in campo per fare in modo che le aziende seguano nella progettazione dei loro beni l’ordine di priorità della gerarchia di gestione dei rifiuti; senza saltare cioè le strategie della  prevenzione e del riuso, qualora gli accordi volontari senza obiettivi vincolanti da raggiungere fallissero.

Se è vero come stima lo studio LCA che la fase di produzione in termini di CO2 immessa nell’ambiente è responsabile solamente del 24% delle emissioni totali mentre il restante 76% è attribuibile alle altre fasi della filiera (materie prime, approvvigionamento, packaging, distribuzione, fase d’uso e fine vita) è altrettanto vero che è la fase di progettazione del prodotto, che include tra le altre la scelta del metodo di erogazione e dell’imballaggio, a determinare la grandezza degli impatti a monte e a valle.
Una progettazione sistemica che caratterizza i modelli economici circolari compie scelte che tengono conto del sistema in cui il prodotto esplicherà il suo ciclo di vita, e dei cicli economici successivi che da quel prodotto ne possono derivare. La progettazione sistemica tiene pertanto anche e soprattutto conto del sistema post consumo che dovrà accogliere uno specifico imballaggio a fine vita nel suo insieme di attività di raccolta, selezione, riciclo,  e dell’esistenza di uno sbocco post consumo per le materie prime seconde generate.

Una delle azioni del piano Catalysing Action della strategia dedicata al riciclo è infatti quella di allineare (rendere compatibili) il design degli imballaggi immessi al consumo con le caratteristiche, tecnologie, sbocchi di riciclo offerte dai sistemi post consumo. Oggigiorno avviene il contrario, si immette un imballaggio in commercio senza valutare quali sono gli impatti ambientali ed economici lungo tutta la filiera sia che si tratti di materiali poliaccoppiati che di bioplastiche.

In conclusione le soluzioni che Carlsberg, così come le altre aziende, potrebbe adottare per il settore B2B per una vera economia circolare sono essenzialmente due:

1)Mantenere il sistema riutilizzabile per il settore Horeca. Progettare un nuovo sistema riutilizzabile che possa migliorare l’impatto dei fusti in acciaio e mantenere i vantaggi del nuovo sistema di spillatura valutando anche altri materiali e tecnologie;

2) Organizzare e soprattutto sostenere finanziariamente da subito, in virtù del principio della responsabilità estesa del produttore, un sistema di raccolta a fine vita. Tale sistema, se non non può essere da subito riutilizzabile deve dare vita ad un riciclo bottle to bottle (da fusto a fusto) per mantenere il valore del materiale. Tale sistema dovrebbe, come per gli altri imballaggi industriali riutilizzabili prevedere un deposito su cauzione sui fusti in PET che ne garantisca la restituzione una volta vuoti. Considerando che è già in essere un servizio di consegna a domicilio per i clienti delle birre del gruppo da parte di ditte affiliate alla Federazione Italiana Distributori di bevande Italgrob, non dovrebbe essere particolarmente complicato recuperare i fusti vuoti quando si consegnano i pieni.

Per quanto riguarda il settore B2C per gli imballaggi che vanno al pubblico dovrebbe invece supportare il ritorno di un sistema di vuoto a rendere con refill nel settore B2C sulla scia delle iniziative prese dal settore dei produttori di birra indipendenti.

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