Il ritardo italiano
Un articolo di Antonio Cianciullo per le pagine web di Repubblica.it che evidenzia in modo inequivocabile quanto rispetto alle politiche ambientali il nostro Paese sia in grave ritardo e che scorra molta acqua tra il dire degli annunci e il fare delle azioni concrete.
Penultimi in Europa in politiche ambientali. L’Italia risulta bocciata nella classifica dei Paesi europei messa a punto da due associazioni non governative europee (Transport and Environment e Carbon Market Watch) che hanno elaborato e comparato emissioni inquinanti e trend dei vari Stati. La Svezia, che si aggiudica il primo posto, e la coppia di inseguitrici formata da Germania e Francia guidano la classifica: il loro cammino ambientale è in linea con gli obiettivi fissati dall’accordo sul clima di Parigi del dicembre 2015: mantenere l’aumento di temperatura del pianeta in un range compreso tra 1,5 e 2 gradi. Chiude la graduatoria la Polonia che insiste nell’uso del carbone, il più inquinante dei combustibili fossili. Al penultimo posto, con appena 9 punti su 100, figura un drappello di Paesi: Italia, Spagna, Croazia, Repubblica ceca, Romania, Lituania, Lettonia.
“A Parigi l’Italia fu tra i Paesi che votarono per lo scenario più ambizioso, un aumento massimo di 1,5 gradi, però le azioni non hanno seguito le parole“, spiega Veronica Aneris, rappresentante italiana di Transport and Environment. “Le posizioni del governo italiano espresse a Bruxelles non rispecchiano le affermazioni del ministro dell’Ambiente che, in occasione della presentazione del Rapporto del Dialogo nazionale dell’Italia per la finanza sostenibile, aveva dichiarato che la quarta rivoluzione industriale deve essere verde“.
In realtà questo scorcio di secolo era cominciato bene. L’Italia a partire dal 2004 aveva registrato un trend di diminuzione delle emissioni totali importante, caratterizzato da una velocità di riduzione superiore alla media europea, e anche la quota di energia elettrica da fonti rinnovabili aveva toccato valori da primato. Poi però è stato tirato il freno: l’attenzione del governo si è spostata sulla difesa delle trivellazioni e dei combustibili fossili, i tagli retroattivi sugli incentivi alle rinnovabili hanno causato le proteste del mondo della finanza con ripercussioni a tutto campo sulla reputazione del Paese.
Ora arriva la valutazione in due settori che hanno un ruolo chiave per il rispetto degli standard ambientali e sanitari. La mobilità e gli edifici sono infatti i principali responsabili di livelli di smog che costringono milioni di italiani a vivere in condizioni di rischio per la salute: le norme di qualità dell’aria vengono sistematicamente violate. Tanto che Bruxelles ha aperto su questo punto un contenzioso con Roma.
“Stiamo parlando di un pacchetto di misure che va sotto il nome di Esr, Effort Sharing Regulation“, continua Aneris. “Vale il 60% del totale delle emissioni inquinanti e comprende edifici, agricoltura, rifiuti e piccole industrie. Su questi settori l’impegno europeo è troppo basso: prevede una riduzione del 20% al 2020 e del 30% al 2030 rispetto al 2005. Ma l’obiettivo al 2020 è stato già raggiunto da 23 Paesi su 28. Se non si alza l’asticella non riusciremo mai a rispettare il target molto più ambizioso fissato alla conferenza Onu sul clima di Parigi. C’è però ancora spazio per un miglioramento dei target europei: un’occasione da non perdere se vogliamo respirare meglio“.