Sulla plastica progressi troppo lenti. Il report della Ellen MacArthur Foundation

Cosa dicono le ONG dei risultati del Global Commitment sulla plastica

Louise Edge, responsabile internazionale campagne Corporate presso Greenpeace UKafferma: “La lezione che emerge chiaramente da questa analisi è che le attuali strategie che le aziende stanno utilizzando per affrontare la crisi della plastica stanno fallendo. Nei cinque anni trascorsi dal lancio dell’Impegno Globale, è diventato sempre più evidente quanto la plastica sia dannosa per la salute umana, per la fauna, le comunità e il clima”.

Secondo il rapporto, senza interventi seri l’inquinamento degli oceani è destinato ad aumentare rapidamente nei prossimi decenni.

“Eppure, parallelamente, l’uso collettivo di plastica da parte delle aziende firmatarie ha continuato ad aumentare e la sua produzione è destinata a salire alle stelle”.

Secondo Edge multinazionali come come UnileverNestlè e Coca Cola devono ammettere che il riciclaggio non tiene il passo senza una riduzione nel consumo attraverso riuso e ricarica ed un’immediata cessazione nella vendita nel sud del mondo dei cosiddetti sachet, bustine monouso di prodotti altamente inquinanti che stanno contaminando i corsi d’acqua delle comunità.

Sam Pearse, responsabile campagne di Story of Stuff Project che ha in corso una specifica campagna per chiedere a Coca-Cola di rispettare gli impegni presi nel 2022 di aumentare la quota di imballaggi riutilizzabili ( 25% entro il  2030) è intervenuto prontamente  dal sito dell’iniziativa  sulla performance di Coca-Cola emersa dal rapporto.

Sul sito si legge che la multinazionale ha aumentato di 228.000 tonnellate il consumo di plastica vergine per le sue confezioni e ridotto allo stesso tempo, l’uso di bottiglie di plastica riutilizzabili (PET) dal 4% all’1,3%.

Guardando invece alla sua quota di mercato complessiva di bevande vendute in contenitori riutilizzabili (bottiglie di plastica e di vetro e bevande alla spina) si è verificata una riduzione di due punti: dal 16% al 14%.

“L’anno scorso la Coca-Cola ha preso un impegno da leader nel settore ” – afferma Pearse – “ma la prova decisiva sta nel rispetto dell’impegno e il rapporto di oggi della Ellen MacArthur Foundation mostra che l’azienda sta fallendo”.  Se Coca-Cola è seriamente intenzionata ad un maggior riutilizzo, continua, “deve riportare in auge la bottiglia di vetro ricaricabile, tanto pubblicizzata negli Stati Uniti. Ci sono 10 Stati USA con un sistema di deposito cauzionale basati su legislazioni che creano gran parte dell’infrastruttura necessaria per ospitare sistemi di riutilizzo e ricarica ad alte prestazioni, in grado di ridurre le devastanti emissioni di gas a effetto serra. Coca-Cola è stata un tempo un pioniere del riutilizzo e può esserlo di nuovo sostenendo e partecipando ai sistemi di deposito che integrano bottiglie riutilizzabili”.

Cosa dicono le multinazionali firmatarie

Alcune aziende, come PepsiCo, Mars Inc. e Coca-Cola, hanno registrato aumenti nell’uso di plastica vergine, rispettivamente del 10%, 14% e 8%. Le stesse aziende hanno aumentato i livelli di riciclo post-consumo dell’1-6%.

Tuttavia, Jodie Roussell, responsabile delle relazioni pubbliche globali e responsabile Packaging & Sustainability di Nestlé, dice a Packaging Insights che i risultati del rapporto “non sono una sorpresa” e che negli ultimi cinque anni, la FEM abbia posto le basi per i negoziati sui trattati e le EPR: “Siamo consapevoli che, nonostante i buoni risultati complessivi, probabilmente il gruppo di firmatari non raggiungerà l’obiettivo del 100% riciclabile o riutilizzabile”.

Le previsioni della fondazione

Tuttavia, poiché gran parte dell’industria non ha ancora preso provvedimenti e le imprese firmatarie probabilmente mancheranno gli obiettivi chiave del 2025, la FEM prevede che 20 trilioni di imballaggi in plastica flessibile finiranno nell’oceano entro il 2040, a meno che non vengano adottati obiettivi più ambiziosi misure politiche e normative vincolanti combinate con una maggiore azione imprenditoriale.  Attualmente, circa 25.000 imballaggi di questa tipologia finiscono ogni giorno nell’oceano.

Questi imballaggi sotto forma di involucri, buste e bustine, sono il tipo di plastica in più rapida crescita che viene commercializzato proprio nei mercati caratterizzati da alti livelli di dispersione.

In queste regioni, dove spesso mancano anche adeguati servizi di raccolta e infrastrutture per il trattamento dei rifiuti, numerosi prodotti vengono infatti venduti in sachet: confezioni monoporzione destinate ai consumatori a basso reddito.

Sander Defruyt, responsabile dell’iniziativa sulla plastica presso l’EMAF, afferma: “Gli insegnamenti tratti dall’Impegno Globale negli ultimi cinque anni hanno dimostrato che è possibile compiere progressi significativi verso la conservazione delle risorse fossili nel suolo e della plastica fuori dall’oceano”.

“Quando abbiamo mosso i primi passi su questo percorso, le azioni su questo argomento erano limitate. Gli sforzi compiuti negli ultimi cinque anni ci hanno permesso di fare un importante passo avanti. Ora sappiamo che i progressi nella lotta ai rifiuti di plastica su scala globale sono possibili e sappiamo quali sono gli ostacoli principali che impediscono ulteriori cambiamenti”.

Sheila Aggarwal-Khan, direttrice della Divisione Industria ed Economia dell’UNEP, accoglie con favore i progressi compiuti dai firmatari dell’EMF negli ultimi cinque anni e afferma che i fallimenti evidenziati nel recente rapporto dovrebbero orientare l’azione nei prossimi negoziati INC-3. “Negli ultimi cinque anni, l’Impegno Globale ha dimostrato come è possibile frenare l’inquinamento da plastica, facendo luce sui ‘punti critici’ che devono essere affrontati per ottenere una corretta riprogettazione del sistema”, afferma.

“Il negoziato in corso per uno strumento internazionale giuridicamente vincolante è un’opportunità per concordare regole, misure e incentivi per un ambiente favorevole alla fine dell’inquinamento da plastica. I governi, le imprese e tutte le parti interessate devono unirsi per garantire di non perdere questa opportunità storica”.

Conclusioni

La via che EMAF indica come la più rapida da percorrere è quella di un “ciclo dell’ambizione” in cui la politica governativa e l’azione delle imprese si rafforzano e alimentano reciprocamente.

Le conoscenze acquisite negli ultimi cinque anni rendono evidente la necessità di un duplice approccio: misure politiche più ambiziose e giuridicamente vincolanti e un’accelerazione dell’azione volontaria delle imprese. Non si tratta di una scelta obbligata: entrambe sono fondamentali per sbloccare i progressi che vogliamo vedere.

In aggiunta ai meriti che vengono riconosciti alla fondazione EMAF per tutto il lavoro fatto nel corso di oltre 7 anni per rendere l’utilizzo della plastica più circolare, ci sono state alcune scelte fatte sul ruolo che la stessa avrebbe dovuto giocare che ne hanno condizionato i risultati.

Mi riferisco alla scelta compiuta dalla Fondazione di assumere un ruolo da agente catalizzatore del cambiamento che non si esprime su strumenti politici e legislazioni e che, coerentemente con questa posizione, promuove iniziative volontarie mirate ad influenzare altre aziende e i decisori politici.

Un’altra possibile scelta avrebbe potuto essere quella di supportare parallelamente politiche europee di rafforzamento della responsabilità estesa del produttore (EPR: a questo proposito vedasi un recente documento di Recycling Netwerk Benelux e Minderoo Foundation) sul fine vita dei propri prodotti e i sistemi di Deposito Cauzionali. Politiche e strumenti che offrono benefici proprio nel perseguimento degli obiettivi del GC, influenzando, anche qui, la politica europea e le stesse aziende ad attivarsi.

Ad ogni modo torniamo ai blocchi di partenza con l’esperienza maturata sul campo – come dice la EMAF –  e guardiamo al futuro tenendo presente le difficoltà che incontrano i Trattati Globali e le legislazioni europee e nazionali che devono recepirne gli indirizzi.

Un ostacolo sul fronte delle aziende è insito nel modello di business attuale improntato alla crescita continua, e anche del fatturato che porta i decisori industriali a non intraprendere azioni che possono richiedere investimenti consistenti e riconversioni importanti con ripercussioni sulla performance economica sul breve termine. Un esempio attuale in cui il “ciclo virtuoso di ambizione” ha avuto la peggio lo abbiamo vissuto in questo anno di acceso dibattito sulle proposte nel regolamento sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio (PPWR). In pratica sono state le intense attività di lobbying delle associazioni industriali che   – come  uno studio di InfluenceMap  racconta –  sono riuscite ad indebolire notevolmente alcune misure presenti nella prima bozza.

Anche se a leggere lo studio non sono state le multinazionali ad intervenire direttamente, se non in rare eccezioni e modalità, viene qui da chiedersi se in futuro spingeranno (nei fatti) per una “politica ambiziosa”, o lasceranno salire sulle barricate le loro associazione di categoria, come è avvenuto con il PPWR.

 

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