Imballaggi: fare di più con meno, in tre mosse
Ecco un vademecum da seguire nella vita di tutti i giorni per ridurre l’impatto degli imballaggi. Anche se il sistema economico è basato sul consumismo spinto e l’offerta di acquisto è impostata sul consumo “usa e getta” (nelle sue svariate e molteplici applicazioni), è possibile fare scelte di acquisto meno impattanti e ridurre il volume dei nostri rifiuti. E’ necessario però agire allo stesso tempo verso le marche dei prodotti che acquistiamo che utilizzano packaging non o difficilmente riciclabile, anche attraverso lo strumento dei social media.
Tutti i beni dal ciclo di vita breve e quindi anche gli imballaggi, di qualunque materiale essi siano realizzati, hanno un forte impatto sull’ambiente. Nonostante alcuni materiali possiedano dei requisiti che li rendono ad una prima analisi meno impattanti rispetto ad altri, c’è una variabile importante da prendere in considerazione: le dimensioni del consumo. Se il consumo di una determinata risorsa da cui si ottiene uno specifico materiale assume valori “fuori controllo” i vantaggi ambientali teorici di un materiale possono risultare ridimensionati quando non annullati. Vedi il caso dell’olio di palma che viene utilizzano come biocarburante e in mille altre applicazioni industriali tra cui nel settore alimentare e della detergenza/cosmetica.
L’origine rinnovabile/vegetale delle materie prime non è di per sé una garanzia di miglioramento della sostenibilità complessiva di un prodotto. Quando il prelievo delle risorse, spinto dall’eccessiva domanda diventa sfruttamento intensivo, converte zone naturali ricche di biodiversità in piantagioni, non tiene più conto dei tempi di rigenerazione dei sistemi naturali, la cura diventa peggio della malattia. Anche quest’anno, la data in cui avremo esaurito il nostro budget annuale di risorse, arriverà un po’ prima, come ci ricorda il Global Footprint Network con l’Overshoot Day.
I rifiuti con l’aumento della popolazione e la crescente urbanizzazione non possono che aumentare . Di pari passo aumentano un po’ ovunque anche i rifiuti da imballaggio e l’acquisto di alimenti confezionati e piatti pronti, senza che spesso ci siano dei sistemi di gestione dei rifiuti a valle in grado di valorizzarli. Il caso di New York, dove il sindaco De Blasio non riesce a eliminare l’uso dei contenitori di cibo da asporto in polistirene EPS, è emblematico. L’industria che li produce impugna l’ordinanza perché questi contenitori sono “tecnicamente” riciclabili. Quand’anche il polistirene fosse riciclabile bisogna fare i conti con l’impatto economico, oltre che ambientale, dell’avvio a riciclo del materiale tra costi di raccolta, selezione e riciclo. Ma soprattutto chi dovrebbe prendersene carico? La raccolta di questo polimero che avviene in Ontario ha un costo di gestione quantificabile in circa 2000-2500 dollari per ogni tonnellata riciclata.
CHE FARE?
La comunità scientifica che studia gli effetti del cambiamento climatico e delle opzioni a disposizione per rallentarlo, concorda sul fatto che serva un profondo cambiamento negli attuali stili di vita e di consumo. Alle stesse conclusioni sta arrivando anche larga parte dell’opinione pubblica (vedi ad esempio l’esito dell’indagine Waste Watcher per l’Italia) che comincia a rendersi conto che una modifica dei nostri comportamenti avrebbe effetti importanti nella risoluzione di emergenze ambientali: dalla produzione di rifiuti a altre forme di inquinamento che vanno di pari passo con lo sfruttamento dell’ambiente e l’aumento delle emissioni complessive di gas ad effetto serra.
Dopo il necessario cambio culturale dei cittadini la maggiore barriera che continuerebbe ad impedire un cambiamento delle scelte di consumo è però proprio l’offerta industriale, che va esattamente in direzione opposta. Un chiaro esempio sono le nuove tipologie di imballaggi altamente ingegnerizzati e performanti rispetto ad esigenze normative, funzionali e di marketing, ma che non tengono conto del fine vita. Pertanto il saper riconoscere quali siano gli imballaggi non riciclabili – per cercare di evitarli quando possibile- diventa un’arma di difesa da praticare.
DEMATERIALIZZARE
La dematerializzazione ovvero eliminare o minimizzare l’imballaggio – ma anche i beni – sfruttando i servizi che essi ci possono fornire senza possederli (economia della condivisione), è la strategia più efficace per l’ambiente. Tutti dobbiamo e possiamo dare un contributo attraverso le nostre scelte di consumo quotidiane anche ripensando le modalità di acquisto. Una parte consistente dei prodotti che compriamo con un imballaggio (o contenitore a perdere) potrebbe esserci fornita con un imballaggio riutilizzabile, o con ricarica, o alla spina. L’imballaggio più sostenibile è quello che non c’è. L’esempio più calzante è il cono del gelato edibile insieme al prodotto che contiene. Evitiamo coppette, contenitori, stoviglie e cannucce usa e getta di qualunque materiale essi siano fatti. Scegliamo prodotti a basso impatto di packaging come possono essere le saponette e i saponi da barba nel settore dei detergenti per la persona.
Per dematerializzare l’imballaggio usa e getta abbiamo a disposizione la strategia del riuso e quindi RI-Porta la Sporta, il sacchetto o il contenitore. Non c’è shopping che non possiamo fare servendoci di una borsa riutilizzabile da portare sempre con noi. Anche in occasione dei saldi non è il caso di prendere più buste di carta o plastica che restano semivuote. Se non abbiamo una borsa riutilizzabile con noi, cerchiamo di mettere più acquisti in un unico shopper.
RIUSARE, RIUSARE E ANCORA RIUSARE
Come abbiamo anticipato il riuso è una strategia importante che dobbiamo fare nostra al punto da ricondizionare i nostri gesti quotidiani che si sono assuefatti ad un consumo usa e getta. Dopo aver accuratamente evitato di prendere sacchetti monouso, riutilizziamo più volte quelli che non abbiamo potuto fare a meno di prendere : dal sacchetto dei grissini a quelli del verduriere.
L’opinione pubblica, poco informata su temi ambientali, tende a pensare che sprecare la carta sia “accettabile” perché tanto viene riciclata. In realtà, anche se l’impatto complessivo dell’industria della carta sull’ambiente è maggiore quando si impiega cellulosa vergine, anche il riciclo della carta ha un impatto ambientale non trascurabile. Per vederla dal lato della produzione di scarto, a fronte di un chilo di carta da riciclo prodotta, si deve fare i conti con circa 300-500 grammi di fanghi e pulper da smaltire.
Per evitare di sprecare carta preziosa si possono utilizzare sacchetti in cotone lavabili ( ad esempio per il pane), oppure in tessuto sintetico o a rete per l’ortofrutta.
Mentre risulta complicato servirsi di contenitori riutilizzabili nei punti vendita della distribuzione organizzata, ma anche del commercio locale, le cose cambiano se si frequentano i negozi che vendono prodotti sfusi e/o alla spina. Soprattutto per quanto riguarda il settore dei detergenti per la cura del corpo e della persona, la vendita alla spina e in formula concentrata permette di evitare quantità importanti di contenitori di plastica usa e getta.
RICICLARE OVVERO FACILITARE IL RICICLO
Premesso che l’opzione ambientalmente preferibile è l’acquisto a zero o a minimo impatto da imballaggio, vediamo cosa possiamo fare come cittadini per favorire il riciclo degli imballaggi. Anche se riciclare è compito dell’industria, è importante conoscere quali sono gli imballaggi più facili da riciclare e quelli che non possono essere riciclati.
Va detto che più semplice è l’imballaggio più facile è il riciclo. Per non andare troppo sul tecnico e rischiare di confondere, invece che chiarire, suggeriamo la lettura di altri articoli presenti su questo sito come da riferimenti a fondo pagina.
Semaforo verde gli imballaggi amici del riciclo
Bottiglie in PET trasparente o leggermente colorato, lattine, bottiglie in vetro, flaconi in plastica di dimensioni superiori ai 7cm , contenitori, buste e involucri monomaterici di varie forme, costituiti cioè da un solo materiale o carta, o plastica, o alluminio, ecc
Contenitori con tappi rimovibili, esistono ancora confezioni di spezie in vetro con tappi di plastica impossibili da rimuovere al punto che parrebbero essere progettati apposta per non essere riusati e per complicare il riciclo.
Semaforo da giallo a rosso per le altre tipologie
Non sono poche le tipologie di imballaggi che complicano o rendono impossibile il riciclo per come sono stati progettati. In alcuni casi il riciclo sarebbe tecnicamene possibile ma non avviene perché non si arriva a raccoglierne le quantità necessarie per rendere un eventuale riciclo economicamente sostenibile. Tra i casi più noti che i riciclatori lamentano, ci sono le bottiglie e contenitori con etichette coprenti o sleeve che, a seconda della tecnologia presente negli impianti possono essere riciclate con costi aggiuntivi o inviate a recupero energetico con le plastiche miste che hanno un basso valore post consumo. Qualora non fosse possibile evitarli si può provare a rimuove l’etichetta prima di conferirli nella plastica.
Anche le bottiglie in PET con colorazioni scure oppure bianche (trattate con additivi opacizzanti) come il caso delle bottiglie usate per latticini non vengono riciclate con facilità e creano costi aggiuntivi al sistema post consumo tra selezione e riciclo. Per capire se si tratta di una bottiglia in PET o HDPE (polietilene ad alta densità) controllare il simbolo presente sulla bottiglia.
Purtroppo da sopralluoghi effettuati nei supermercati parrebbe che, ad eccezione della Parmalat, tutte le altre marche abbiano abbandonato sia il PET trasparente nei latticini freschi che l’HDPE per quelli a lunga conservazione per passare al PET opaco.
Da difficili a impossibili da riciclare sono gli imballaggi realizzati in multimateriale o poliaccoppiati, imballaggi formati da parti in materiali diversi ( vedi il barattolo della foto) e contenitori provvisti di tappi non rimovibili. Anche i contenitori in Tetrapack da punto di vista del riciclo vantano un riciclo del 26% rispetto all’immesso al consumo con solamente due impianti esistenti in Italia in grado di trattarli. Le possibilità di scelta meno impattanti stanno nel preferire bottiglie in PET trasparente e in HDPE per i latticini a lunga conservazione. Purtroppo per le tipologie di latte vegetale non ci sono alternative ai cartoni in tetra pack.
E infine anche le dimensioni degli imballaggi contano agli effetti del riciclo: tappi, flaconcini e altri imballaggi inferiori ai 7cm finiscono in fase di selezione nello scarto e vengono termovalorizzati. Per i flaconcini di latticini del banco frigo dei supermercati la scelta sta tra l’evitarli e/o l’attivarsi presso le marche per chiedere che si impegnino a risolvere il problema in accordo con i riciclatori. Per quanto riguarda i tappi, se non si vuole che vengano sprecati vanno avvitati alla bottiglia oppure conferiti nelle raccolte tappi che avvengono in vari luoghi commerciali e pubblici.
Per saperne di più:
Meno rifiuti più risorse: le 10 mosse
L’imballaggio del futuro non può che essere riutilizzabile