A chi appartiene l’acqua?

Dopo cinque anni dalla straordinaria tornata referendaria, che ha visto ventisette milioni di cittadini italiani recarsi alle urne per affermare il principio dell’acqua bene comune privo di rilevanza economica, promuovere la ripubblicizzazione del servizio idrico e contrastare il piano di liberalizzazioni e privatizzazioni nell’ambito dei servizi pubblici locali, la Camera dei deputati si appresta a discutere e votare un disegno di legge che dovrebbe finalmente attuare le ragioni referendarie e la volontà democratica.

Ora, il disegno di legge in questione prende spunto sia dalla legge d’iniziativa popolare per la ripubblicizzazione dell’acqua presentata nel 2007 con oltre 400.000 firme, sia dall’esito, ancora disatteso, di quello straordinario pronunciamento popolare del giugno 2011.

Tuttavia, il testo arriverà nell’aula parlamentare con una serie di emendamenti, presentati e fatti approvare dal partito democratico, che stravolgono gli obiettivi e le finalità di una legge che invece dovrebbe riconoscere il principio della gestione pubblica e partecipata del servizio idrico integrato. Nello specifico è stato colpito l’articolo 6, il cuore del disegno di legge, che nella sua formulazione originaria prevedeva l’obbligatorietà della gestione pubblica.

Un articolo che sanciva la volontà democratica del popolo italiano. Da oggi non sarà più così, a meno che non avvengano cambiamenti durante l’iter della discussione alla Camera. Nel testo appena emendato dalla commissione ambiente la gestione del servizio idrico non dovrà essere obbligatoriamente pubblica, ma solo in “in via prioritaria”. A favore di chi? Di “società interamente pubbliche, in possesso dei requisiti prescritti dall’ordinamento europeo per la gestione in house, comunque partecipate da tutti gli enti locali ricadenti nell’ambito territoriale”. Di certo questi emendamenti peggiorativi e dagli effetti distorsivi sono da collegare al Testo unico sui servizi pubblici locali, decreto attuativo della cosiddetta Legge Madia, la n. 124/2015, le cui finalità sono la riduzione della gestione pubblica dei servizi ai soli casi di stretta necessità e la razionalizzazione delle modalità di gestione dei servizi pubblici locali, in un’ottica di chiaro stampo privatistico.

Infatti, il decreto promuove “la concorrenza […], la libertà di prestazione di servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione dei servizi pubblici locali di interesse economico generale“. E non è finita qui. Ricompare addirittura l’abrogata voce “adeguatezza della remunerazione del capitale investito” nella composizione della tariffa.

Una cosa è chiara: governo e Pd non potevano scegliere una situazione migliore per dimostrare tutto il loro disprezzo nei confronti della volontà popolare e della democrazia. A questo punto bisogna che i parlamentari sensibili al tema, il Forum italiano dei movimenti per l’acqua bene comune, i comitati territoriali e, soprattuto, le comunità locali continuino a battersi e a sostenere ancor di più le ragioni del referendum di cinque anni fa. La strada è una: avviare una gestione pubblica per garantire un servizio prezioso come quello dell’acqua attraverso soggetti di diritto pubblico.

Inoltre, per dare seguito al secondo quesito referendario occorre rivedere la tariffa del servizio idrico integrato, eliminando la quota relativa alla remunerazione del capitale investito. A tale proposito, riteniamo che la nuova tariffa debba essere riconsiderata al fine di coniugare accessibilità, efficienza e tutela della risorsa.

Per questo, tenendo conto del principio di universalità di accesso all’acqua potabile, il sistema di gestione non può che trovare il suo fondamento nella fiscalità generale, unico criterio in grado di realizzare una seria e concreta gestione pubblica, trasparente e partecipata. Nella partecipazione, poi, la voce dei territori e delle comunità insediate è di fondamentale importanza. In particolare, quella delle assemblee rappresentative comunali, il cui dovere è quello di fare proposte e di esprimersi in materia di gestione del servizio idrico. L’acqua, il bene comune più comune di tutti, non può diventare oggetto di lucro per pochi gruppi imprenditoriali. Al contrario, deve essere fonte di giustizia, di diritti e di pratiche democratiche.

Bengasi Battisti – Sindaco di Corchiano (VT) e Presidente dell’Associazione Comuni Virtuosi