Imballaggi : il riciclo per la plastica (e altri materiali) da solo non basta

OBIETTIVO RIUSO
Come abbiamo visto in precedenti approfondimenti gli attuali stili di vita che vedono un consumo in aumento di cibi pronti e monoporzionati e del commercio online porteranno inevitabilmente ad un aumento del packaging che va quindi controbilanciato da azioni efficaci di riduzione praticabili su larga scala e in tutti i settori. Negli ultimi 5 anni c’è stata una crescita media del 2% degli imballaggi immessi al consumo +2,7% per la carta e cartone,+2% per la plastica,+3% per il legno e +1% per il vetro.
Il riuso è l’azione ambientalmente più efficace e meno costosa per contrastare il consumo di risorse, prevenire la produzione di rifiuti e generare al tempo stesso occupazione sostenibile e locale.

Secondo il piano Catalysing  Action il riuso può diventare un’opzione economicamente interessante  per almeno il 20% in peso degli imballaggi immessi sul mercato, sia per gli imballaggi primari (B2C) che del circuito commerciale secondari e terziari (B2B). Eppure  il riuso, nonostante abbia un potenziale di circolarità ben superiore al riciclo non viene considerato dalle aziende in tutte le sue possibili forme e mercati di applicazione. Questo dato di fatto già anticipato precedentemente  a pag.2 , conferma che le stesse aziende che aderiscono al piano, e che pertanto vanno considerate più motivate di altre, ben difficilmente applicheranno le azioni ambientalmente più vantaggiose della gerarchia dei rifiuti prima citata e i principi dell’economia circolare.

Alcune delle spiegazioni si possono trovare negli esiti dell’indagine  prima citata  “La transizione ad una circular economy e il futuro del riciclo degli imballaggi in Italia”.  Tra i risultati emerge infatti che la riduzione dalla dipendenza da materie prime della propria azienda è all’ultimo posto nella classifica dei driver che spingono le industrie della filiera nazionale degli imballaggi ad applicare modelli circolari nel proprio business.(1)

Nonostante qualche start up coraggiosa abbia sviluppato in Europa, sistemi o esempi di imballaggio riutilizzabile, applicabili al settore del cibo da asporto (pizza inclusa), al commercio online, agli eventi, alla commercializzazione di prodotti unpackaged ( sia virtuale con l’ausilio delle nuove tecnologie informatiche o tramite negozi tradizionali), la strada da fare per passare a modelli basati sul riuso e la condivisione dei beni è ancora tanta. Evidentemente manca un pò a tutti i livelli della società la percezione della reale portata della crisi ambientale, e la consapevolezza che una sua escalation  può essere mitigata solamente riducendo i ritmi di prelievo,  insostenibili, di risorse naturali che accelerano il riscaldamento climatico. Le emissioni di Co2 nel nostro paese sono aumentate nell’ultimo anno addirittura del 3,2%, oltre il doppio dell’incremento registrato nello stesso periodo dal Pil nazionale (+1,5%).

Tornando alle aziende internazionali, a parte il caso prima citato dell’insegna Morrisons, non si trova ad oggi traccia di iniziative di riuso, nonostante  la dichiarazione di massima di volere adottare imballaggi riutilizzabili e riciclabili.

L’Oréal a dire il vero parrebbe aprire qualche spiraglio in tal senso dichiarando che si impegna affinché tutto il suo packaging in plastica sia “rechargeable, refillable” oltre che riciclabile o compostabile entro il 2025.

Probabilmente quello che manca per spingere le aziende ad andare oltre al “packaging/business as usual”  sono dei target di riduzione vincolanti nella produzione di rifiuti urbani visto che sono le scelte industriali compiute nella fase di progettazione dei beni dalle quali dipende in larga misura l’impatto ambientale delle produzioni  e dei prodotti.

Una produzione più sostenibile degli imballaggi potrebbe diventare realtà qualora chi immette imballaggi al consumo dovesse attenersi a degli obiettivi di prevenzione e riuso, oltre che di riciclo, obbligatori per legge. Tali obiettivi,  visto le differenze esistenti andrebbero definiti per ciascuna categoria di imballaggi: dai contenitori per bevande, agli imballaggi industriali e al packaging più comune ed essere  incrementabili nel tempo, in  considerazione dell’aumento annuo degli imballaggi. Il nuovo pacchetto di direttive europee sui rifiuti e l’economia circolare prevede che i sistemi per attuare la responsabilità dei produttori (EPR) dovranno assicurare entro il 2025 il rispetto dei target di riciclo e il pagamento dei costi della gestione efficiente della raccolta differenziata, delle operazioni di cernita e trattamento dei rifiuti che derivano dai loro prodotti e quelli dell’informazione, della raccolta e della comunicazione dei dati. Per gli imballaggi dovranno coprire almeno l’80% di tali costi.

Come avvertono da tempo gli operatori del settore “Gli imballaggi riutilizzabili devono essere promossi da incentivi economici a livello europeo. Sino a quando sarà più conveniente per le aziende fare ciò che non è ambientalmente più corretto, continuare con i prodotti usa e getta o l’incenerimento dei rifiuti, non vi sarà alcun incentivo a perseguire la sostenibilità nel business per la maggior parte delle aziende. Promuovere vantaggi fiscali per gli imballaggi riutilizzabili diventerebbe invece un modo per aumentare chiaramente l’attrattività economica del riutilizzo. La Commissione UE dovrebbe fornire allo scopo un chiaro indirizzo”.

Altrimenti non solamente non ci saranno aziende che adottano sistemi di riuso ma aumenteranno le aziende che li dismettono. Un caso riferito al settore  Horeca è la sostituzione dei fusti in acciaio riutilizzabili effettuata dal gruppo Carlsberg con fusti in Pet che non vengono né recuperati dal produttore e neanche riciclati. Ma non vi saranno neanche incentivi per i produttori a prolungare la vita dei beni come dimostra il caso di Bormioli Rocco e della linea frigoverre che non mette a disposizione la possibilità di acquistare contenitore e tappo separatamente che si usurano in tempistiche diverse.  Entrambe le aziende non hanno risposto ai nostri appelli.  PLASTICA: ALLA RICERCA DELLE SOLUZIONI PER RIDURNE L’IMPATTO

La ricerca, in nome dell’urgenza di trovare una soluzione all’inquinamento da plastica, e ai rifiuti marini in particolare, si è intensificata negli ultimi tempi seguendo alcuni filoni come: lo sviluppo di batteri, funghi, bruchi o enzimi “mangia plastica” lo sviluppo di soluzioni di riciclo innovative, oppure lo sviluppo di materiali biodegradabili/compostabili  da fonti rinnovabili o di bioplastiche non biodegradabili per realizzare imballaggi.

Mentre non è ancora chiaro come potranno batteri, funghi e via dicendo liberarci dalle tonnellate di plastica dispersa nell’ambiente, delle condizioni oggettive con cui devono fare i conti le nuove tecniche di riciclo ne abbiamo parlato nel capitolo precedente con il caso studio di Unilever.

Le sostituzione di manufatti in plastica con altre alternative andrebbe valutata approfonditamente sulla base degli impatti ambientali delle varie opzioni possibili, caso per caso. Prendiamo il caso della cassetta in bioplastica realizzata con gli scarti e l’invenduto dei carciofi il cui prototipo è stato sviluppato da un progetto dell’Istituto Italiano di Tecnologia  in collaborazione con il Mercato Ortofrutticolo di Genova e Ascom.

Premesso che è sacrosanto utilizzare a cascata tutti gli scarti prodotti dall’industria (soprattutto a km zero)  per realizzare nuovi manufatti, se lo scopo del progetto fosse stato prevenire il rifiuto in plastica, si sarebbe potuto arrivare ad un’altra soluzione. Esistono infatti già esperienze consolidate basate sull’impiego di cassette riutilizzabili da parte della GDO (settori ortofrutta carni e pesce) che, volendo, con un lavoro di squadra tra operatori del settore, amministrazioni comunali, mercatali e grossisti possono essere trasferite ai mercati ambulanti. I comuni potrebbero giovarsi così di una riduzione consistente del rifiuto prodotto dai mercati, ridurre la tassa rifiuti ai mercatali e guadagnare dei posti di lavoro in più a livello locale. Così come è stato possibile ricavare una fibra tessile da scarti dell’agroindustria, vedi il caso del pastazzo delle arance,  anche per la valorizzazione degli scarti dei carciofi, potrebbero esserci delle applicazioni più performanti e giustificabili  sotto il profilo dell’uso efficiente delle risorse. 

 

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