La strategia di Starbucks International non convince, qualche progresso in Italia
Le nuove direttive approvate all’interno del pacchetto economia circolare, la strategia sulla plastica e la proposta di direttiva SUP ( Single Use Plastics) contengono misure che andranno ad eliminare o ridurre il consumo di 10 tipologie di articoli usa e getta che alimentano il marine litter, tra cui contenitori per fast food e bevande. Tali misure sono in linea con i principi dell’economia circolare e la gerarchia di gestione dei rifiuti europea che privilegia le misure di prevenzione e riuso. Gli stati membri, come si può leggere nella bozza di direttiva , dovranno fissare obiettivi nazionali di riduzione, mettendo a disposizione prodotti alternativi presso i punti vendita, o impedendo che vengano forniti gratuitamente. Per le bottiglie di plastica, anch’esse oggetto della direttiva è previsto un obiettivo di intercettazione sfidante : il 90% dell’immesso al consumo al 2025. I produttori/utilizzatori di questi manufatti SUP dovranno coprire i costi di gestione ( e bonifica) causati dai rifiuti che derivano dai loro prodotti/utilizzati , come pure i costi delle misure di sensibilizzazione. L’Europa sta andando spedita nella direzione di attribuire ai produttori di rifiuti i costi di gestione del loro fine vita attraverso un rafforzamento degli schemi di responsabilità estesa del produttore che ad oggi vengono esternalizzati sulle comunità.
CHI DECIDE LE POLITICHE GLOBALI AMBIENTALI ?
Le politiche ambientali che multinazionali come McDonald e Strabucks stanno intraprendendo che non considerano il riuso come una valida alternativa, ma puntano esclusivamente sulla riciclabilità, sollecita un’ulteriore considerazione rispetto a quanto già espresso nel nostro appello.
E cioè che probabilmente queste politiche vengono decise centralmente da figure che: a) non conoscono sufficientemente le problematiche del fine vita dei contenitori monouso b) non conoscono i sistemi post consumo e le normative dei paesi dove sono presenti, che differiscono enormemente tra loro.
Se così non fosse le multinazionali eviterebbero di prendere decisioni standarizzate da esportare in tutti i paesi come il progetto Next Generation Cup avendo realizzato che il modello globalizzato non è più compatibile con la crisi climatica in atto e con i fondamentali dell’economia circolare, che escludono a priori il perseguimento dell’ “ONE SOLUTION FITS ALL“.
Mentre è assodato che il riciclo sia l’opzione ambientalmente più conveniente rispetto allo smaltimento in inceneritori o discariche, quando si tratta di sviluppare la soluzione o il sistema più adatto per fare arrivare un determinato bene e prodotto agli utenti non è per nulla scontato scontato che l’unica soluzione debba essere il monouso. E a maggior ragione in questo momento storico in cui stiamo facendo i conti con fenomeni irrimediabili e globali come l’inquinamento da plastiche che sta contribuendo, più di quanto non avvenisse in passato, a mettere in luce agli occhi della pubblica opinione (anche) le responsabilità industriali.
Qualora una valutazione delle possibili opzioni – riutilizzabili e monouso – si servisse di strumenti come l’LCA per una comparazione degli impatti ambientali delle varie soluzioni, sarebbe però necessario, come convengono i massimi esperti sull’argomento, prendere anche in considerazione le esternalità indirette e negative che di solito non vengono incluse nelle analisi LCA perché difficilmente quantificabili. Ad esempio quali sono i costi ambientali ed economici causati da tutto il ciclo di vita di un bicchiere monouso di plastica o carta che finisce nell’ambiente, e/o viene raccolto e finisce in discarica/inceneritore o ad aumentare il marine litter? Altre valutazioni abbinabili sono quelle che organismi internazionali o enti di consulenza effettuano quando si tratta di quantificare i benefici economici e occupazionali dei modelli economi circolari. Sempre se ci si aspetta dalle aziende la creazione di valore (anziché disvalore) sul piano sociale e ambientale.
RICICLABILITA’ DEVE COINCIDERE RICICLO
Recentemente due associazioni internazionali di riciclatori di materie plastiche, l’europea Plastics Recycling Europe (PRE) e l’americana The Association of Plastic Recyclers hanno convenuto su cosa si debba intendere per plastica riciclabile a livello globale. “Il termine ‘riciclabile’ viene costantemente utilizzato per definire materiali e prodotti senza che vi sia un riferimento definito e condiviso”, nota Steve Alexander, Presidente di APR. “La riciclabilità di un prodotto va oltre l’essere tecnicamente riciclabile: i consumatori devono poter accedere a un sistema di raccolta e riciclo, un riciclatore deve essere in grado di trattare il materiale e occorre un mercato finale per i materiali rigenerati”. Secondo le due associazioni, per essere considerato riciclabile, un prodotto in plastica deve soddisfare quattro condizioni che si possono leggere qui . Pertanto anche qualora i contenitori monouso utilizzati dalle multinazionali del fast food fossero tecnicamente riciclabili, mancherebbero pur sempre totalmente o parzialmente le condizioni descritte per arrivare al riciclo effettivo. A meno che le multinazionali stesse non gestiscano un loro schema di EPR , applichino un deposito su cauzione in modo che i clienti riportino i contenitori, prendendosi carico dei costi di riciclo. Dubitiamo fortemente che dovendo sostenere i costi che attualmente esternalizzano sulle comunità le multinazionali sceglierebbero l’utilizzo esclusivo di contenitori usa e getta.