La strategia di Starbucks International non convince, qualche progresso in Italia
Riciclatori e sostenitori Zero Waste a Starbucks: non è vero che il nuovo coperchio verrà riciclato
Il Comunicato stampa in inglese
Il movimento internazionale #breakfreefromplastics invita il CEO di Starbucks Kevin Thompson a vedere dove finiscono i rifiuti di Starbucks: in gran parte nei paesi del Sud-est asiatico.
Nel tentativo di placare la crescente preoccupazione circa le quantità di contenitori usa e getta superflui utilizzati nelle sue caffetterie Starbucks, ha recentemente annunciato a gran voce che avrebbe gradualmente eliminato le cannucce di plastica sostituendole con nuovi coperchi di plastica “riciclabile”. In realtà il tipo di plastica che Starbucks definisce “riciclabile” viene inviata in discarica negli USA o spedita in paesi come la Malesia o il Vietnam spostando l’inquinamento. “Le affermazioni di Starbucks sulla caratteristica della plastica #5 di essere ampiamente riciclata non è corretta“, afferma Stiv Wilson, direttore delle campagne del progetto The Story of Stuff. “Questa incredibile attenzione ad un singolo prodotto non è necessariamente negativa, ma non è nemmeno buona cosa se non porta a un cambiamento più ampio e sistematico nei modi in cui la plastica: il materiale oggi più onnipresente in commercio, viene prodotta, usata e smaltita attualmente ” ha aggiunto.
Aziende come Starbucks sempre più prese di mira per il contributo all’inquinamento plastico causato dai propri imballaggi, si sono affidate principalmente al riciclaggio visto come la soluzione al problema, nonostante i numerosi punti di debolezza del sistema. Di conseguenza, gli Stati Uniti hanno inviato sempre maggiori quantità di plastica “riciclabile” alla Cina sino a che il paese ha chiuso i battenti. Ora gli Stati Uniti hanno iniziato a inviare i propri rifiuti di plastica ad altri paesi in Asia che, di conseguenza, hanno imposto divieti e restrizioni simili a quelli cinesi.
“Il riciclaggio da solo non risolverà la crisi dell’inquinamento plastico“, ha dichiarato la responsabile campagna plastica di Greenpeace USA Kate Melges. “In effetti, affidarsi a un sistema di riciclaggio che sta fallendo negli Stati Uniti e affrontare i divieti all’estero peggiorerà il problema. Ad oggi, solo il 9% di tutta la plastica mai creata è stata riciclata. È tempo che le aziende vadano oltre alle appariscenti iniziative di pubbliche relazioni ( flashy PR moves ) e inizino a ridurre in modo significativo la produzione di plastica e ad investire in alternative riutilizzabili“.
In molti dei paesi dove Starbuck è presente ci sono da zero a poche infrastrutture di riciclaggio. Non solamente contenitori, coperchi e cannucce marchiate Starbucks, compaiono tra i rifiuti raccolti nelle operazioni di pulizia delle spiagge ma, secondo l’app Litterati, i prodotti a marchio Starbucks rientrano facilmente tra i primi tre marchi identificati nei rifiuti a livello globale, se non il numero uno.
Con questo in mente, il movimento #breakfreefromplastic invita il CEO di Starbucks Kevin Johnson a visitare le comunità del Sud-Est asiatico più colpite dai rifiuti di plastica creati dalle aziende con sede nel nord del mondo. Vai al testo della lettera.
“Il tipo di inquinamento plastico che stiamo osservando nel Sud-Est asiatico è prodotto da società globali con sede in Nord America ed Europa“, ha dichiarato il coordinatore globale di Break Free From Plastic Von Hernandez. “Mentre questi paesi sono stati accusati di essere i maggiori responsabili dell’inquinamento plastico, chi sta davvero spingendo per aumentare la produzione di questi rifiuti sono le aziende situate nel nord del mondo. Queste aziende devono assumersi la responsabilità dei loro rifiuti “.
Il carattere fuorviante degli impegni di riciclaggio presi dall’industria hanno ostacolato il progresso verso soluzioni reali che possono offrire soluzioni all’inquinamento da plastica. Monica Wilson, Research & Policy Director di GAIA, afferma: “Chiediamo a Starbucks di assumersi la responsabilità dei propri prodotti e imballaggi e di smettere di fingere che la marea di plastica immessa sul mercato venga effettivamente riciclata”.
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