Rifiuti, dal Cdr al Css: ovvero come provare ad aggirare l’effetto Nimby
L’Italia è il paese delle mille leggi, che poi si moltiplicano in migliaia di interpretazioni e contraddizioni. La legislazione legata alla gestione corretta dei rifiuti non è da meno, e il caos normativo è anche lessicale. L’esempio più conosciuto al grande pubblico è quello della tassa/tariffa sulla spazzatura, che cambia nome quasi con la stessa frequenza dei governi. Ma anche le definizioni legate ai rifiuti cambiano alla velocità della luce, come nel caso del Cdr, il combustibile (destinato agli impianti di termovalorizzazione) derivato dai rifiuti, che sta lentamente lasciando il passo al Css (combustibile solido secondario). Gli addetti ai lavori giurano che la differenza è tanta (e tecnicamente parametri e processi effettivamente non sono uguali), e ieri a Firenze è stato promosso anche un convegno ad hoc, al quale avrebbe dovuto partecipare anche il ministro dell’Ambiente Galletti, che invece alla fine non si è presentato.
Organizzato dal consorzio Ecocarbon (che promuove lo sviluppo delle opportunità derivate dal ‘Css combustibile’) e dall’associazione ambientalista Amici della Terra, il convegno puntava di fatto a sdoganare (dal punto di vista ambientale) e far crescere (dal punto di vista politico-economico) l’utilizzo del Css in sostituzione del carbon coke nei cementifici, per la produzione di cemento e clinker.
In questo quadro si inserisce la novità rappresentata dal Css, così come previsto dal decreto Clini (n. 22 del 14 marzo 2013): «Non essendo più rifiuto e avendo invece specifiche molto stringenti sia sul piano della composizione che dei possibili campi di utilizzo – ha spiegato il presidente di Ecocarbon, Camillo Piazza –, il Css non può che essere considerato un prodotto e quindi la sua produzione rappresentare una forma di riciclo di materia». Tanto che Ecocarbon propone una revisione della famosa gerarchia europea per al corretta gestione dei rifiuti, inserendo l’utilizzo del Css subito dopo il riciclo di materia e subito prima il recupero di energia.
Nessuno può mettere in dubbio che l’utilizzo del Css nei cementifici consenta una riduzione degli impatti ambientali che invece produce il carbon coke, ma è anche vero che quella di Ecocarbon (anche il nome è tutto un programma) ricorda da vicino un’altra strategia, legata ad un altro acronimo: lo Sra, utilizzato come agente riducente nell’acciaieria austriaca Voelstalpline, che Corepla annovera tra le forme di riciclo di materia nei suoi resoconti annuali.
Ma alla fine, perché tutto questo interesse? La risposta ce la dà l’Istat, che nel rapporto 2014 su “Popolazione e ambiente: comportamenti, valutazioni ed opinioni” dimostra come esista un abisso di consenso, e quindi di agibilità politica, tra l’idea di avere vicino alla propria casa un termovalorizzatore (il camino nuovo dedicato ai rifiuti) e quella di avere un impianto termico storico come un cementificio o una centrale termoelettrica (tipicamente uno degli impianti che potrebbero bruciare, pardon utilizzare, Css). «Certo, il sapere che nella centrale termoelettrica o nel cementificio – si legge nella strategia di Ecocarbon – venisse utilizzato un combustibile proveniente da rifiuti alzerebbe probabilmente il grado di preoccupazione, che però assai difficilmente potrebbe anche solo avvicinare quello elevatissimo che contraddistingue la presenza di un termovalorizzatore».
Articolo di Jacopo Carucci –Greenreport.it