Un’Italia senza rifiuti è possibile

Una bella inchiesta di Francesco Cancellato, pubblicata su Linkiesta.it, che ci consegna l’immagine di un’altra possibilità nella gestione dei rifiuti. Una buona legislazione nazionale, una filiera seria e alternativa degli impianti a livello locale, buone prassi nelle pubbliche amministrazioni accompagnate da scelte lungimiranti da parte dei consumatori: è questa la strategia che punta a ridurre al minimo la montagna di rifiuti che ancora oggi produciamo. Ce lo chiede il futuro, e la nostra stessa sopravvivenza come ha drammaticamente documentato “Presa Diretta” proprio ieri sera, nella puntata andata in onda su RAI 3 “Salviamo il mare”.

29,5 milioni di tonnellate. È il peso della montagna di rifiuti prodotta ogni anno in Italia. Etto più, etto meno, fanno circa 500 kg a testa. Che vuol dire, bilancia alla mano, che ogni italiano, oggi, ne produce in media, da inizio gennaio a fine dicembre, sei volte e mezzo il suo peso. Di questa montagna di rifiuti, il 38,3% – circa 11 milioni di tonnellate – finisce ancora sottoterra, nelle discariche. E il 17,3% – pari a circa 5,1 tonnellate – viene incenerita. O, se preferite, termovalorizzata.

Se un tempo, di fronte a queste cifre, la questione che si poneva era “semplicemente” – le virgolette sono d’obbligo – di ordine ecologico, la crisi economica pone anche un tema di natura economica: «Se vogliamo essere competitivi dobbiamo trarre il massimo dalle nostre risorse, reimmettendole nel ciclo produttivo invece di collocarle in discarica come rifiuti. Il passaggio a un’economia circolare, oltre ad essere possibile, è redditizio». Sono parole di Janez Potočnik, Commissario Europeo per l’Ambiente. Poche righe per enunciare un concetto tanto rivoluzionario, quanto, a suo modo, ovvio. Che sotterrare (o bruciare i rifiuti) equivale a sprecare risorse che, se differenziate e riciclate, possono essere rimesse in circolo, diventando le materie prime di un nuovo processo produttivo.

L’obiettivo di “Waste End” è tanto semplice quanto ambizioso: ridurre di due terzi i rifiuti avviati in discarica e raddoppiare la raccolta differenziata.

È questo, del resto, il ragionamento alla base dell’agenda ”Waste End”, un «progetto per il Paese» promosso da Fondazione Symbola e Kinexia volto a «raddrizzare la gestione dei rifiuti e farne un trampolino per dare nuovo slancio all’economia». L’obiettivo è tanto semplice quanto ambizioso: ridurre di due terzi i rifiuti avviati in discarica – dal 38% al 12% del totale -, raddoppiare la raccolta differenziata (dal 43% all’82%), tagliare il rifiuto urbano residuo indifferenziato ad un terzo (dal 57% al 18%), più che dimezzare l’incenerimento (dal 17% al 7%). In questo scenario, che per quanto ambizioso è a portata di mano, la capacità industriale di preparazione al riciclo raddoppierebbe da 12 milioni di tonnellate attuali a 24 milioni di tonnellate, il recupero di materia nei processi industriali passerebbe dall’attuale 24% dei rifiuti al 48,5%, il recupero per usi agronomici dal 13% al 30%, mentre il recupero per usi energetici dal 19% attuale scenderebbe al 14%, privilegiando soluzioni meno inquinanti e più innovative. Il tutto, entro il 2020. In cinque anni, utilizzando, in parte, anche le risorse messe a disposizione dal Piano Juncker per gli investimenti.

Lo sviluppo del riciclo determinerebbe una crescita di 12.000 occupati rispetto alla situazione attuale.

Non solo: Una rivoluzione che porterebbe nuove imprese e nuova occupazione: nel ciclo di gestione dei rifiuti si avrebbero circa 22.000 occupati in più (+37%), per effetto di una forte crescita nei settori a più alta intensità di lavoro (soprattutto nella raccolta e preparazione al riciclo). Nel settore del riutilizzo si genererebbero fino a 10.500 nuovi occupati. Lo sviluppo del riciclo determinerebbe una crescita di 12.000 occupati rispetto alla situazione attuale. Il valore della produzione nell’industria di preparazione passerebbe da 1,6 miliardi attuali a 2,9 miliardi. E anche la manifattura riceverebbe una potente spinta dalla sistematica disponibilità di materia prima seconda. Una rivoluzione che converrebbe all’ambiente, meno risorse utilizzate e meno emissioni (fino a 19 milioni di tonnellate di CO2), alla filiera del recupero, alla manifattura, ma anche ai cittadini con una riduzione di circa il 20% del costo di gestione dei rifiuti urbani.

A portata di mano, dicono. E qualcuno potrebbe storcere il naso, di fronte alle tante, troppe storture di un sistema di gestione dei rifiuti troppo spesso inefficiente, in molti casi addirittura criminale. Eppure, in Italia, non esiste solo la Terra dei Fuochi. Esiste, ad esempio, anche una realtà come Contarina Spa, società interamente pubblica che si occupa della gestione dei rifiuti per i cinquanta comuni della provincia di Treviso, la prima a introdurre la tariffa puntuale, che si calcola in funzione del peso di ogni singola frazione: più cresce la percentuale differenziata, più la tariffa scende. Risultato? Nel 2012, nei 50 comuni serviti da Contarina la percentuale di differenziazione era arrivata all’83%. È grazie a realtà come questa – e in Italia ce ne sono – che la raccolta differenziata aumenta. E che, nel riciclo industriale, tanto per fare un altro esempio, riusciamo a recuperare 24,1 milioni di tonnellate di rifiuti nell’ambito del riciclo industriale. La Germania, per dire, è ferma a 22,4 milioni.

«In Italia è necessario un cambio di paradigma che metta al centro del sistema il recupero di materie anziché lo smaltimento»

Da esperienze e da dati come questi si può partire, ma la strada è ancora lunga: «In Italia è necessario un cambio di paradigma – dichiara Pietro Colucci, Presidente e a.d. di Kinexia -. Occorre concepire un nuovo modello industriale di gestione che metta al centro del sistema il recupero di materie anziché lo smaltimento, che aumenti la raccolta differenziata con sistemi capillari, che sappia valorizzare le nuove tecnologie di produzione di energia da digestione anaerobica dei rifiuti organici o altri sistemi senza emissioni, che crei flussi di compensazione tra le aree del Paese ancora in emergenza per carenze infrastrutturali verdi, e quelle in over-capacity impiantistica».