La paesologia spiegata alla politica

Una bellissima intervista di Flavia Piccinni a Franco Arminio, paesologo e profondo conoscitore di quelle che chiamiamo le terre di mezzo: i borghi dimenticati, le comunità in soffitta, i territori in saldo. Un contributo che andrebbe letto e fatto leggere ai tanti che si accostano alle istituzioni repubblicane senza passione e con la consueta visione consumistica della società.

“Non siamo tutti milanesi, romani, napoletani. L’Italia è bella perché c’è Rotondella e Napoli. C’è Roma e Pescasseroli. Bisogna riscoprire la bellezza dell’Italia interna da troppo tempo dimenticata”. Tuona così Franco Arminio, poeta e scrittore, attento viaggiatore e guerriero dell’Italia marginale. Di quell’Italia in cui abita (“sono nato a Bisaccia, in Irpinia, e non ho mai pensato di andare via”) e di cui scrive adesso, riprendendo un discorso iniziato con i suoi ultimi libri, in “Vento forte tra Lacedonia e Candela – Esercizi di paesologia” (Laterza, pp. 190).

Lei si definisce paesologo. Ma che cosa è la paesologia?

È una forma di attenzione ai paesi. Oggi, in Italia, la contraddizione principale non è più fra Nord e Sud, ma fra le aree costiere e quelle interne. Fra l’Italia urbana e quella di paese. Nei confronti dei paesi c’è poca attenzione, anche da parte di chi li abita e crede che la vita sia altrove. Temo ormai si tratti di un disturbo percettivo conclamato.

Mi può spiegare meglio?

Pare quasi che chi abita nei paesi sia convinto che questi luoghi siano destinati a morire, e dunque sia inutile avere fiducia nel futuro, investire, impegnarsi. Eppure noi abbiamo una risorsa incredibile che non sappiamo utilizzare. È una risorsa anche soltanto edilizia: spesso nei paesi ci sono più case che abitanti, e così queste restano vuote.

Ha denunciato spesso l’assenza della politica.

La politica in Italia non si occupa di tante cose. Politicamente ed elettoralmente i paesi non sono appetibili. Ma non è solo un fatto di calcolo elettorale. C’è anche un fattore culturale. In Austria e in Germania anche le aree marginali sono considerate con attenzione perché sono risorse della comunità. In Italia, fatta eccezione forse dell’Alto Adige, non c’è la medesima attenzione.

Quali sono le politiche messe in atto oggi?

C’è la strategia nazionale dell’Italia interna avviata da Fabrizio Barca, quando era ministro della coesione nel 2013. Ci sono politiche contro lo spopolamento in tutte le regioni declinate attraverso la creazione di servizi e politiche di sviluppo sociale. Il progetto è molto valido, ma non ha avuto spinte adeguate e siamo ancora alla fase della sceneggiatura.

E il film quando inizia?

(sospira) Il film, purtroppo, non comincia mai.

Cosa servirebbe?

Meno burocrazia.

Faccia un appello.

A chi? A Salvini?

Se crede.

Lui non è il ministro del grano, dei pastori, delle vacche. Lui è il ministro buttafuori. Lui sta all’ingresso della discoteca e dice: non dovete entrare. Ci vorrebbe un ministero dell’Italia interna, ma non c’è e non c’è mai stato.

Traspare il suo sconforto.

Mi sento solo. Anche gli altri scrittori non mi sostengono.

Per quale motivo?

Magari vivono nell’aria urbana, e non percepiscono la questione. Il problema è l’impianto culturale complessivo. In Italia c’è un conflitto fra conservatori e innovatori. I conservatori sono di più e più coalizzati. Gli innovatori perdono, perché non sono sostenuti.

Crede che il problema sia solo questo?

Se ci dessero dei servizi sarebbe tutto più semplice. Perché un centro di riabilitazione deve stare a Roma e non in Abruzzo? L’Italia non è la Russia. Qui tutto è raggiungibile, anche i posti più sperduti stanno a un’ora e mezza dal capoluogo di regione. Ciò rende ancora più incredibile la miopia. Il futuro c’è. Non è domani mattina, ma c’è.

Nel suo ultimo libro, lei assegna una bandiera bianca ai paesi più sperduti d’Italia.

Sì, ai paesi dove non va nessuno. Ai paesi che non hanno niente da offrire sul mercato del turismo. Ed è proprio per questo che io li considero un posto sacro.

Per quale motivo?

Perché percepisco da visitatore la loro solennità. Come una vecchietta che passeggia in una strada deserta, all’imbrunire.

Il rischio è cadere in una sorta di estetica delle rovine.

Guardi che non è vero che i paesi sono morti o sono destinati a morire. Tornerà la montagna, torneranno i paesi. Gli italiani devono aggiornare la loro percezione dei luoghi. Ci sono luoghi che erano belli, che ora non lo sono più. E viceversa.

Per esempio?

La Basilicata cinquant’anni fa era un posto povero, non bello. Ma quando tutta l’Italia si riempie di capannoni, pompe di benzina e palazzi come la Pianura Padana, quel vuoto della Basilicata diventa bello. Non posso negare che a me emozioni di più Monte Acuto che Monte Carlo. Per la maggior parte delle persone non è così. Ma non sono io che devo vidimare le regole del gioco. A me basta dichiarare l’affezione che produce in me un luogo. E poi, diciamo…

Cosa?

Gli italiani di oggi sono carcerati della bellezza. Trovo demenziale che uno debba fare sette ore di fila per andare a trascorrere la domenica a Sorrento, o a Milano Marittima, quando ci sono dei posti che hanno bellezze diverse e che vanno scoperti.

Come ci si educa a questa bellezza alternativa?

Sostenendo idee differenti rispetto al pensiero unico. Cercando di dare all’industria culturale un’opzione.

Il rischio però è che poi, presi d’assedio dal turismo di massa, questi luoghi perdano la loro bandiera bianca.

Affronteremo il problema. Intanto combatto e in qualche modo mi godo questa politica globale della disattenzione e i luoghi meravigliosi in cui si trovano ancora le lucciole, dove ci sono ancora le farfalle.