Ridurre i rifiuti e lo sfruttamento di risorse si può. Con l’economia circolare

I rifiuti possono essere evitati con una gestione sostenibile e circolare delle risorse, dice l’Associazione Comuni Virtuosi (ACV). Che mira a ridurre la produzione di rifiuti partendo da dove tutto ha inizio

di Andrea Bertaglio La Repubblica

Quando si parla di iniziative virtuose in tema di gestione dei rifiuti vengono spesso richiamate, anche sui media televisivi, le esperienze di comuni aderenti all’Associazione Comuni Virtuosi. Iniziative che, di fatti, raccontano come sia possibile ridurre la produzione di rifiuti attraverso buone pratiche ambientali e raggiungere percentuali di raccolta differenziata che vanno ben oltre al 70%. Come? Attraverso l’applicazione della tariffazione puntuale e il coinvolgimento dei cittadini.

Succede anche a Parma, il comune più grande fra quelli associati. Eppure l’associazione propone dal 2012 ”Meno rifiuti più benessere in 10 mosse«, una campagna che vuole cambiare la percezione diffusa tra l’opinione pubblica che i rifiuti siano una conseguenza ineluttabile del benessere a cui rassegnarsi e con cui convivere. Soprattutto se si ha la fortuna di averli ”lontano dagli occhi e dal cuore«.

Ne parliamo con Silvia Ricci, responsabile campagne dell’ACV.

In cosa si differenzia la vostra iniziativa da altre, e perché?

Innanzitutto si tratta dell’unica iniziativa che si rivolge direttamente al mondo aziendale con una serie di richieste improntate all’uso sostenibile delle risorse. Tema di assoluta attualità, vista la pesante crisi ambientale ed economica che stiamo vivendo e l’emergenza del riscaldamento climatico che si è palesata come la sfida prioritaria da affrontare. Per ridurre drasticamente le emissioni di gas serra in un pianeta che ospiterà e dovrà sfamare 9 miliardi di persone entro questo secolo, è necessario intervenire sull’attuale modello economico lineare, che ha già mostrato tutti i suoi limiti.

La prima mossa chiede alla aziende produttrici di ridisegnare prodotti e cicli produttivi in un’ottica di economia circolare capace di minimizzare gli effetti collaterali dei processi produttivi come uso intensivo delle risorse naturali, rifiuti e inquinamento. Le mosse seguenti, sulla base di esempi concreti, chiedono di evitare l’attuale spreco di materia lungo tutta la filiera del consumo tra imballaggi e prodotti usa e getta. Attraverso l’innovazione e l’eco-design è possibile sia sostituire la maggior parte delle opzioni usa e getta, che dare vita a prodotti progettati per il riuso e il riciclo efficiente, e per fornire materia prima seconda da utilizzare al posto di materia vergine. Occuparsi del rifiuto quando ormai è prodotto significa sprecare risorse rilevanti in interventi palliativi che non affrontano la radice del problema. Le 10 mosse si rivolgono direttamente al mondo produttivo.

Perché i comuni e i cittadini virtuosi hanno bisogno della collaborazione delle aziende?

Perché non si può fare prevenzione con interventi disarticolati e ”una tantum« che non abbraccino tutta la catena del consumo. I materiali che vengono separati dai cittadini con una raccolta differenziata spinta al 90% e di ottima qualità possono essere metabolizzati e valorizzati con il riuso e il riciclo (di materia) solamente se c’è un sistema strutturato in grado di accoglierli. Lo stesso ragionamento vale per i beni e materiali che si raccolgono negli ecocentri o a domicilio. Questo sistema si può solamente cambiare (mettendo in pratica il principio della responsabilità estesa del produttore) se gli attori della filiera produttiva dialogano/collaborano, sin dalla fase progettuale, con chi si occupa di gestire i loro prodotti a fine vita. Attualmente l’unico modo possibile di gestire questi rifiuti è quello ”end pipe«, che cerca di limitare il danno gestendo al meglio i contenuti dei cassonetti con pochissime risorse e in costante diminuzione. Non per difendere le amministrazioni locali che lavorano male, ma non è più ammissibile che a pagare per i costi generati da questo modello produttivo, tra rifiuti e inquinamento, debbano essere sempre gli ultimi anelli della catena, gli enti locali e i cittadini.

Se governi e aziende lavorassero insieme per rendere possibili modelli di economia circolare non staremmo qui a parlare di come meglio gestire o prevenire la produzione di 134,4 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, 29,6 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e di 11,5 milioni di tonnellate di imballaggi. Essenzialmente per due ragioni: la prima perché gran parte della produzione di questi scarti verrebbe già prevenuta o minimizzata nella fase di progettazione dei beni, oppure metabolizzata in nuovi cicli produttivi; la seconda perché questo modello economico rivoluziona completamente l’attuale sistema produttivo che, oltre a riempire le discariche, ha riempito le nostre case di oggetti inutili o sottoutilizzati. Se guardiamo a un prodotto pensando ai servizi che può fornirci senza entrare in nostro possesso, si apre un mondo di opportunità economiche ad alta intensità lavorativa.Parlando di imballaggi, Conai ha annunciato che nel 2013 tre imballaggi su quattro sono stati recuperati.

Quali sono le vostre proposte come associazione di enti locali?

Innanzitutto varrebbe la pena spiegare come si arriva al dato del recupero del 77,5% (3 imballaggi su 4), come si ricava. Si tratta della media delle percentuali di riciclo di sei materiali diversi (acciaio, alluminio, plastica, vetro e legno) che variano dal 39% della plastica all’86% della carta, alla quale viene aggiunta la percentuale delle quantità (perlopiù carta e plastica) che sono state ”termo valorizzate«. Se il destinatario di questi dati è il cittadino medio, sarebbe più utile fornire dati un po’ più significativi e distinti per categoria di imballaggi, in modo da informarlo dove occorre impegnarsi di più. Per raggiungere l’obiettivo europeo di riciclo del 50% al 2020, il materiale sul quale c’è maggiormente da lavorare è la plastica. Dei due milioni di tonnellate immessi al consumo, nel 2013 il consorzio per la plastica Corepla ne ha avviato a riciclo 413.640 tonnellate (20,2% dell’immesso) e incenerito con recupero energetico 752.554 tonnellate (36,8% dell’immesso).

Detto questo, le 10 mosse sono state ispirate dagli esiti di indagini merceologiche effettuate sul rifiuto indifferenziato e da visite effettuate presso gli impianti di selezione e riciclo, dove si è potuta verificare l’immissione al commercio (in quote sempre maggiori) di alcune tipologie di imballaggi, presentate come il massimo della sostenibilità che poi, nel fine vita, si rivelano riciclabili soltanto in teoria. Pur essendo conteggiati tra gli imballaggi differenziati, questi finiscono di fatto in discarica o negli inceneritori per i motivi che spieghiamo alla pagina dell’iniziativa e in una apposita presentazione.

Oltre che appellarci alle aziende, abbiamo fatto pubblicamente alcune proposte in occasione della firma dell’accordo quadro Anci Conai che regola la raccolta differenziata nei comuni e ne cito due. Come ACV riteniamo che i soldi spesi da Corepla per termovalorizzare la plastica andrebbero invece utilizzati per supportare il riciclo delle plastiche miste, creando così quel potenziale occupazionale nell’indotto del riciclo citato nei diversi rapporti annuali commissionati dal Conai.

Riteniamo inoltre che il contributo ambientale (CAC), calcolato sul peso, che viene pagato dagli utilizzatori di imballaggi allo scopo di finanziare la loro raccolta differenziata nei comuni, come avviene in altri Paesi europei debba essere utilizzato come uno strumento di prevenzione, e cioè commisurato alla riciclabilità dell’imballaggio. Più basso se facilmente riciclabile con la tecnologia esistente nel Paese, altissimo se non ci sono queste condizioni e viene raccolto per essere buttato con dispendio di soldi pubblici. I consorzi del Conai, per i diversi materiali (carta, vetro, plastica ecc.), sono beneficiari di un CAC. I comuni ricevono un corrispettivo economico per gli imballaggi raccolti che vengono poi conferiti alle piattaforme Conai a seconda dei materiali. Siccome l’entità dei corrispettivi erogati arriva a coprire meno della metà di quanto serva realmente per raccoglierli, i comuni devono coprire la parte mancante rivalendosi sulle bollette dei cittadini.

Tornando al contributo ambientale pagato al Conai, quello che avviene è che prima diventa parte del prezzo dell’imballaggio e poi viene trasferito nel prezzo finale del bene acquistato imballato. Come ribadito in una recente sentenza del Tar, l’attività dei Consorzi Conai assume tratti similari a quelli propri dell’erogazione di un servizio pubblico, perché i mezzi finanziari per il loro funzionamento provengono in larga parte da risorse degli utenti/operatori/consumatori, mediante l’applicazione del contributo ambientale Conai.

 

Leggi anche