Alla scoperta dei Drs: cosa prevede il deposito cauzionale del decreto Semplificazioni

Guardando ai sistemi di deposito già in vigore in altri Paesi, quale sarebbe quello più efficace e adatto alla nostra realtà a cui l’Italia nei suoi decreti attuativi dovrebbe ispirarsi?

« Non è più necessario inventarsi nulla perché dall’esperienza e dai risultati ottenuti dagli oltre dieci sistemi di deposito in vigore prevalentemente nel nord Europa è possibile ricavare quali sono gli elementi chiave di cui tenere conto nel disegnare un sistema di deposito moderno e adatto alla nostra realtà. I Paesi che hanno fatto scuola sono gli scandinavi Svezia, Norvegia, Finlandia, Danimarca e Islanda con sistemi di deposito attivi da decenni, anche se la Germania è il paese con il numero più alto di utenti: 83 milioni. La Lituania è l’ultimo Paese dove è entrato in vigore un Drs (2016), dimostrando come sia possibile raggiungere in meno di due anni il 91,9% di intercettazione media per i contenitori di bevande soggetti al sistema.

Un DRS moderno e capace di raggiungere alti di livelli di raccolta e di riciclo deve avere : 1) una portata nazionale, 2) un valore del deposito sufficientemente alto da incentivare la restituzione da parte dei consumatori, 3) coprire tutte le tipologie di contenitori di bevande (dal vetro, alla plastica, alle lattine), 4) ed infine essere facilmente accessibile e adottabile dagli utenti.
Il modello di conferimento del riscatto della cauzione che si è dimostrato maggiormente efficace e apprezzato nei sondaggi dei paesi che hanno scelto questo modello è quello del ritorno al rivenditore (return-to-retail) che consente ai consumatori di non cambiare le proprie abitudini di acquisto. Peraltro, il più diffuso in Europa .

Sono i produttori di bevande a finanziare il sistema attraverso un contributo EPR (Extended producer responsibility) versata per ogni contenitore immesso al consumo. Altre entrate dell’operatore di sistema derivano dalla vendita degli imballaggi venduti ai riciclatori e dal 10% dei depositi non riscattati. Venendo alle caratteristiche dell’operatore di sistema il modello prevalente in Europa è quello centralizzato in cui un ente no profit – costituito generalmente da produttori e distributori di bevande– sovraintende a tutte le attività, perseguendo gli obiettivi di raccolta decisi dalla legislazione che ne sancisce l’entrata in vigore.
L’operatore di sistema deve poter garantire una gestione trasparente con processi di clearing dei dati e tecnologie di raccolta affidabili.

Come può un sistema di deposito convivere con un sistema di raccolta differenziata senza che ci siano contraccolpi negativi per gli enti locali?

«Innanzitutto sono le esperienze internazionali ad avere dimostrato che i sistemi di deposito cauzionale e i sistemi di raccolta differenziata (Rd) come il nostro (regolato dall’Accordo quadro Anci-Conai) sono complementari. Mentre il sistema Rd continua ad operare per tutti gli imballaggi, il Drs si focalizza su quelli per bevande monouso che sfuggono alla differenziata, senza creare costi aggiuntivi per Comuni e cittadini. Infatti meno rifiuti da gestire significa per gli enti locali risparmi economici, dettati anche dalla minor presenza di rifiuti dispersi nell’ambiente, rivedendo i contratti con i loro gestori dei rifiuti. Per i cittadini un Drs significa avere meno imballaggi da gestire in casa e bollette dei rifiuti più leggere. Il recente rapporto What we waste della piattaforma Reloop ha quantificato in oltre 7 miliardi di unità  gli imballaggi per bevande che sfuggono alla raccolta differenziata in Italia. Oltre 41 miliardi in Europa.

Nonostante questa evidenza la prima reazione degli enti locali nei confronti di un Drs è di chiusura, per la paura di perdere gli introiti che arrivano dalla vendita di imballaggi di valore recuperati con la raccolta differenziata.

Un timore che però gli stessi Comuni, una volta realizzato come funziona un Drs ed i suoi vantaggi, riconoscono come ingiustificato, dal momento che i sistemi di raccolta domiciliari per gli imballaggi che gli stessi finanziano hanno costi che generalmente superano di gran lunga quanto i Comuni incassano da consorzi Conai. Il contributo economico  definito come “maggiore onere” che un Comune riceve per finanziare la raccolta differenziata degli imballaggi è basato infatti sul peso dei materiali conferiti alle piattaforme Conai e viene definito in base ad un Accordo quadro stipulato con Anci a seconda del materiale da imballaggio.

Un recente studio del laboratorio Ref ricerche ha quantificato in 1 miliardo di euro il costo totale nazionale di gestione dei rifiuti da imballaggio a carico dei Comuni a fronte di 654 milioni di euro di corrispettivi ricevuti dal Conai nel 2020.

La tesi sulla perdita di imballaggi nobili e preziosi è confutata dal fatto che i Comuni non vengono neanche pagati in base alle tipologie di imballaggi conferiti (bottiglie piuttosto che involucri vari, vasetti o vaschette). Prendendo il caso della plastica,le preziose bottiglie in Pet rappresentano una minuscola frazione percentuale degli imballaggi in plastica delle raccolte differenziate. In conclusione avere meno quantità di imballaggi da gestire per i Comuni non si riduce solamente all’avere meno costi, ma anche a liberare risorse ed energie che possono essere impiegate nel miglioramento della raccolta di altri flussi di imballaggi e non solo, penso ad esempio ai rifiuti da asporto e da commercio online. Ma anche in attività di prevenzione e promozione dei sistemi di riuso che nel nostro Paese stanno a zero e che invece andrebbero a fornire soluzioni “upstream”, ovvero a monte del problema rifiuti.

Tornando alla questione dei costi della raccolta differenziata degli imballaggi per i Comuni è evidente  che parallelamente alla scrittura dei decreti attuativi si dovrà trovare un allineamento con l’attuale normativa ambientale e con il recepimento della direttiva Ue 852/2018 che rivoluzionerà lo scenario attuale.

Entro il gennaio del 2023 l’Italia (il termine per gli Stati membri era il 2024) dovrà istituire regimi di responsabilità estesa del produttore per tutti gli imballaggi conformi all’art.8 e all’art. 8bis della direttiva rifiuti 2008/98/CE recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo 116/2020.

Per l’Italia significa passare dal sistema attuale basato sulla “responsabilità condivisa” a una più propriamente “estesa”, ove i produttori sono chiamati a farsi carico dei costi della raccolta differenziata dei propri rifiuti, ai costi del loro trasporto e del trattamento, necessari al raggiungimento dei target di riciclo, alle ulteriori attività necessarie per garantire la raccolta e la comunicazione dei dati, e ad una congrua informazione ai consumatori.

Sono abbastanza convinta che quando i produttori di bevande dovranno coprire anche i costi derivanti dalla dispersione dei loro imballaggi nell’ambiente, come prevede la direttiva Sup, non esiteranno a supportare e scegliere un sistema di deposito.

Anche se non è un’operazione facile comparare sistemi di gestione degli imballaggi diversi tra loro, un documento prodotto dalla piattaforma Reloop (che unisce produttori, distributori, riciclatori, istituzioni accademiche e varie associazioni non governative),intitolato Factsheet: Economic Savings for Municipalities, ha comparato 32 studi internazionali che hanno preso in esame i costi e i benefici seguiti all’adozione di un sistema cauzionale, rilevando che in tutti i casi si sono verificati risparmi consistenti per gli enti locali.

Se poi volessimo considerare anche l’aspetto ambientale dei Drs versus i sistemi di raccolta domiciliare, una delle obiezioni che capita di sentire, è utile precisare che studi Lca hanno quantificato in un -28% le emissioni di CO2 di un Drs per bevande quando comparato ad un sistema di raccolta domiciliare».

Vai allo speciale sui SISTEMI DI DEPOSITO che abbiamo creato in collaborazione con Economiacircolare.com

 

CONTINUA A LEGGERE >>

Leggi anche