La sovrapproduzione alimentare è il problema, più che i rifiuti alimentari

CONSEGUENZE SULLA PRODUZIONE E GESTIONE DEGLI IMBALLAGGI
La quantità degli imballaggi immessi in commercio è in aumento a livello globale per cause come un maggior consumo di cibi pronti e alimenti confezionati, l’aumento della popolazione della classe media nei paesi emergenti, e da una crescente urbanizzazione. Secondo uno studio condotto da AXA il 60% della popolazione mondiale si concentrerà nelle città  nel 2030. Secondo una simulazione effettuata nello studio Stemming the Tide (1) sulla base di dati della Banca Mondiale e dell’Unep la produzione di rifiuti prodotti a livello procapite negli insediamenti urbani è superiore del 40% rispetto a quella prodotta nelle aree rurali. Per quanto riguarda la produzione di rifiuti plastici l’aumento è nell’ordine del + 15% nelle aree urbane.

Se la tesi prima esposta è corretta- e lo scenario dello spreco ne è la prova provata- anche gli imballaggi vanno considerati un sintomo dell’eccessiva produzione di cibo. Soprattutto quelli che contengono cibi freschi per i quali arriva presto la data di scadenza. Mentre i prodotti da forno o l’ortofrutta -quando va bene- vengono conferiti in un impianto di compostaggio gli alimentari confezionati finiscono in discarica o negli inceneritori.  Secondo lo studio The New Plastic Economy il 95% del valore del packaging, stimabile in 60-120 miliardi di dollari, si perde dopo un singolo utilizzo. Delle 78 milioni di tonnellate di packaging immesso al consumo il 72% non viene recuperato. Mentre il 40% va in discarica il 32% sfugge ai sistemi di raccolta “legali”. La percentuale media che viene riciclata e incenerita si equivale :14%.

Come abbiamo già precedentemente argomentato in un precedente post il design del packaging è prevalentemente orientato alle esigenze di ordine estetico dettate dal marketing oltre che agli aspetti che attengono al miglioramento della vita del prodotto (shelf-life) e della sicurezza alimentare. La riusabilità o la riciclabilità del packaging vengono considerate come optional di secondaria importanza. Questo approccio viene favorito dall’assenza di un sistema che orienti il mercato dell’imballaggio a progettare secondo i criteri dell’ecodesign attraverso leve economiche e fiscali. Come ha rilevato l’Agcom nell’ultima indagine  conoscitiva IC49 alla pagina 169 del capitolo dedicato all’Epr (Extended Producer Responsibility) e al sistema dei consorzi Conai, l’80% dei costi di gestione dei rifiuti da imballaggio ricade sugli enti locali e sui cittadini. Se la situazione venisse ribaltata e i produttori dovessero, come avviene in altri paesi, prendersi carico della raccolta dei loro rifiuti passerebbero immediatamente ad una progettazione sostenibile del packaging e all’attivazione di sistemi di deposito su cauzione.

Esiste una stretta relazione tra packaging non riciclabile e l’intento dichiarato dall’industria di produrre packaging antispreco (di cibo) poichè la non idoneità al riciclo riguarda principalmente le monoporzioni o le piccole confezioni. L’industria le promuove e i cittadini le scelgono ( come rileva l’Osservatorio nazionale Waste Watcher  )  per prevenire lo spreco di cibo considerato che lo spreco sembra riguardare maggiormente le confezioni grandi, che rimangono aperte più tempo.

La mancata riciclabilità di queste confezioni antispreco dipende dall’eterogeneita dei materiali con cui vengono realizzate, di solito si tratta di combinazioni in multistrato di materiali come plastica, carta e alluminio. Alcuni esempi sono le buste stand up poach o i contenitori in tetrapack. Mentre le prime non sono riciclabili, per i contenitori in tetrapack il riciclo è possibile solamente in un paio di impianti su tutto il livello nazionale. Pertanto, le partite che vengono raccolte in modo differenziato, e che non possono per ragioni economiche e ambientali raggiungere questi impianti, vanno a smaltimento in discarica o negli inceneritori.
Quindi, se non ridimensioniamo l’offerta di cibo alla reale richiesta, quasi certamente ci limiteremo a combattere uno dei sintomi del problema senza affrontare la causa del problema. Paradossalmente rischiamo di aumentare, come abbiamo ipotizzato,  di aggiungere allo spreco di cibo un maggior consumo (spreco) di imballaggio, considerato che la riduzione dei formati si traduce in più unità di packaging per grammo di prodotto. Ad una conclusione simile è arrivato in un articolo più recente di questo post dal titolo Why single-use packaging will only preserve Europe’s food waste problemPiotr Barczak, delegato alle politiche sui rifiuti dell’European Environmental Bureau.

-Leggi anche sull’argomento: I paradossi dell’evoluzione del packaging

(1)  Stemming the Tide: Land-based strategies for a plastic-free ocean studio prodotto nel 2015 da Ocean Conservancy  McKinsey Center for Business and Environment

 

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