La sovrapproduzione alimentare è il problema, più che i rifiuti alimentari

I rifiuti alimentari e lo spreco di imballaggi sono un sintomo del problema che è la sovrapproduzione di cibo. Un’analisi di alcuni dati di fatto che arrivano da più fonti confermerebbe questa ipotesi e renderebbe necessario un diverso approccio del problema basato su un sistema produttivo agro-alimentare sostenibile che non produca più sprechi.

L’attenzione verso lo spreco di cibo definito definito recentemente da Vytenis Andriukaitis, commissario europeo alla Salute e alla sicurezza alimentare, una tragedia economica ed ambientale è aumentata. Grazie ad alcune iniziative europee di grande eco mediatico lo spreco alimentare viene visto per quello che è: una problematica globale che gioca un ruolo chiave nella riduzione delle emissioni di gas serra.
E’ infatti l’attività agricola che ha l’impatto maggiore a livello di emissioni: con circa 6,2 miliardi di tonnellate di CO2 equivalenti, si posiziona al primo posto per emissioni di gas serra(pari al 20% delle emissioni del 2010)  prima dei comparti dell’energia e dei trasporti . Secondo lo studio “Food Surplus and Its Climate Burdens” del Potsdam Institute for Climate Research (PIK) che per la prima volta fornisce le proiezioni complete dello spreco di cibo dei Paesi di tutto il mondo, calcola che solamente le emissioni correlate potrebbero arrivare al 2050 a 2,5 miliardi di tonnellate di Co2 equivalenti. (Un articolo di Regioni e Ambiente sullo studio si può leggere qui. )
Una follia se consideriamo che in Europa stiamo distruggendo la biodiversità con uno sfruttamento estremamente intensivo del territorio; tra insediamenti abitativi, infrastrutture e produzione industriale e agricola la percentuale di suolo sfruttato arriva all’80%.
EATING PLANET
Nel 2050 la crescita demografica arriverà a oltrepassare i 9 miliardi di persone con una richiesta di cibo che crescerà del 56%. In questo scenario di possibile aumento della produzione alimentare – e di conseguente impatto ambientale – potrebbe sembrare difficile mantenere il riscaldamento globale entro i 2˚C, obiettivo prefissato lo scorso dicembre durante la Conferenza di Parigi (COP21). Se si pensa che per sfamare il crescente numero di persone nel mondo occorre produrre di più, non è questa la soluzione. In realtà, attualmente sprechiamo un terzo della produzione globale di alimenti, che equivale a quattro volte la quantità necessaria a dare da mangiare a 795 milioni di persone denutrite nel mondo, oltre ad avere una forte ricaduta sull’ambiente perché mentre il cibo si decompone rilascia gas metano, un gas serra 20 volte più potente dell’anidride carbonica.
Questo il messaggio arrivato nella giornata della Terra lo scorso 22 aprile dalla Fondazione Barilla Center for Food & Nutrition BCFN che ha recentemente presentato la seconda edizione di “Eating Planet. Cibo e sostenibilità: costruire il nostro futuro”. Effettivamente ci stiamo divorando la terra e anche l’ Italia non scherza visto che sprechiamo il 35% di prodotti freschi (latticini, carne, pesce), il 19% del pane e il 16% di frutta e verdura prodotti. Uno spreco che porta con se una perdita di 1.226 milioni di m3 l’anno di acqua, e l’immissione nell’ambiente di 24,5 milioni di tonnellate CO2 l’anno. Secondo i dati diffusi ieri dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile nel suo ultimo Climate report, presentati dall’ex ministro dell’Ambiente Edo Ronchi, nel 2015 le emissioni di gas serra in Italia sono aumentate di circa il 2,5%, circa 3 volte tanto la crescita del Pil (che ha segnato un +0,8%) in controtendenza rispetto ad altri paesi.
Se si considera che la richiesta di cibo aumenterà del 56%, che il 25% dei suoli è gravemente danneggiato e il 30% dei terreni coltivabili è divenato improduttivo negli ultimi 40 anni (dati FAO) è evidente che serve rivedere l’intero sistema a livello globale.

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