Lotta alle microplastiche nelle acque: non c’è tempo da perdere

AZIENDE COSMETICHE
Alcune industrie cosmetiche e di prodotti per la cura della persona hanno eliminato volontariamente l’uso di plastica solida (microsfere) anche a seguito di varie campagne internazionali come Beat the microbead. Unilever le ha eliminate quasi due anni fa mentre Procter & Gamble e l’Oréal non lo faranno prima del 2017. Tuttavia, senza un bando globale sarà difficile mettere la parola fine a questa pratica in tempi accettabili. Difatti la data proposta da Cosmetics Europe (Associazione europea delle industrie cosmetiche) ai propri associati affinché ne sospendano l’impiego è solamente il 2020. L’associazione, per alleggerire le responsabilità dell’industria rispetto al problema evidenzia che la percentuale massima attribuibile alle microsfere di origine cosmetica sul totale dei rifiuti marini non supera l’1,5%. Tuttavia, se consideriamo il pesante impatto ambientale che deriva dalle 5000 tonnellate di microsfere utilizzate ogni anno dall’industria cosmetica che finiscono nei corsi d’acqua e nei mari, non è davvero giustificabile attendere oltre. Anche gli interventi dei rappresentanti (1) di multinazionali come Unilever, l’Oréal e Procter & Gamble invitati ad un audizione dedicata all’uso delle microplastiche nei prodotti per la cura della persona richiesta dall’House of Commons Environmental Audit Committee,(2) dello scorso 29 giugno sono stati infatti piuttosto “deludenti”. Da tre multinazionali che fanno della sostenibilità un elemento fondante del core business aziendale, ci si sarebbe aspettato di più. A partire dalla mancata applicazione  del principio di  precauzione nel 1990, quando le stesse aziende insieme ad altre passarono massicciamente all’uso delle microplastiche (senza verificare le conseguenze sull’ambiente), passando per i tempi lunghi di Oréal e P&G (2017) e al rifiuto ( Unilever e Oréal ) di eliminare altri composti polimerici utilizzati ad esempio in deodoranti e rossetti come il polietilene (in forma liquida) o il Politetrafluoroetilene (PTFE). Solamente il referente di P&G ha annunciato che elimineranno il PTFE. Consigliamo di leggere l’interessante trascrizione dell’audit (scaricabile anche in pdf) che rende l’idea sia sulla natura del contendere, che di come si svolge un’audizione (ben fatta) tra rappresentanti governativi molto abili e preparati (come gli inglesi del Comitato ambientale)  e la controparte industriale.
Per quanto concerne l’Italia, priva di un tale organismo di tutela ambientale, è stata approvata alla camera il 26 ottobre 2016 una legge sulla cosmesi sostenibile a prima firma del presidente della commissione ambiente della camera Realacci che prevede un divieto per le microsfere solamente al 2020. Piuttosto deludente il termine visto che, come abbiamo visto l’Oréal e P&G, elimineranno le microsfere già entro la fine del 2017.

Aggiornamento del 4 settembre 2016: L’Inghilterra verso un bando delle microsfere

GREENPEACE-MICROBEADS COMMITMENT SCORECARD
Come evidenzia la classifica di Greenpeace East Asia, sono quattro le aziende che si stanno impegnando maggiormente per eliminare le microsfere dai propri prodotti: Beiersdorf e Henkel (Germania), Colgate-Palmolive e L Brands (Stati Uniti). Altre aziende, come le statunitensi Revlon, Amway e Estee Laudeer, hanno mostrato uno scarso impegno e pertanto occupano gli ultimi posti in classifica. Tuttavia è necessario sottolineare che nessuno dei 30 marchi internazionali presi in esame ha soddisfatto tutti i criteri di valutazione necessari per garantire la protezione dei nostri mari dall’inquinamento da microplastica. «Questa classifica prova che l’intero settore sta facendo molto poco per risolvere questo grave problema ambientale», dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia. «Le aziende sostengono di riuscire a gestire il problema ambientale delle microsfere, ma questo è falso, come dimostra il rilascio quotidiano negli oceani di miliardi di microsfere contenute nei prodotti per la cura e l’igiene personale». «Al netto degli impegni delle singole aziende, sono necessari provvedimenti legislativi urgenti che vietino immediatamente l’utilizzo delle microsfere in tutti i prodotti per l’igiene personale, evitando così che queste particelle continuino a inquinare gli oceani», conclude Ungherese.

problema-IT

MICROFRAMMENTI TESSILI SINTETICI
Nel 2014 è partito il progetto europeo Mermaid Ocean Clean Wash finanziato dal programma Life+ con l’obiettivo di studiare l’entità del fenomeno e sviluppare la ricerca di soluzioni. Tra i partner del progetto arrivato a metà strada ci sono il CNR per l’Italia,  LEITAT e Polysistec (Spagna) e l’ONG olandese Plastic Soup Foundation.

Una ricerca compiuta da Mermaid nel 2015 ha verificato che le quantità riscontrate di microfibre sintetiche rilasciate per lavaggio è di molto superiore a quelle rilevate in un precedente studio del 2011 di M.A.Browne: Accumulation of microplastics on shorelines worldwide . Dai test effettuati su tessuti acrilici come nylon e poliestere è emerso che un grammo di tessuto rilascia in un solo lavaggio più di 3.000 microfibre per grammo. Una felpa in pile dal peso di 680 grammi può perdere circa 1 milione di fibre a lavaggio, un paio di calze di nylon quasi 136.000.
Plastic Soup Foundation ha invitato lo scorso aprile , in collaborazione con il marchio di abbigliamento G-Star RAW le aziende della moda a sottoscrivere una carta di impegni con l’obiettivo di liberare i mari dalle microfibre sintetiche.

Tra le soluzioni individuate da Mermaid per ridimensionare il fenomeno che non attengono solamente all’industria tessile ci sono:

-Sviluppo di nuovi filtri interni o esterni alle lavatrici in grado di trattenere i frammenti tessili

-Sviluppo di tessuti acrilici che non presentino questo inconveniente attraverso tecnologie e trattamenti che non siano dannosi su altri piani per la salute dell’uomo e dell’ambiente

-Sviluppo di altre soluzioni tecniche a differenti livelli che forniscano soluzioni al problema.

Tra le possibili soluzioni applicabili si è esplorata l’opzione di poter sviluppare tecnologie applicabili agli impianti di depurazione delle acque che catturino le microfibre ma le difficoltà di intervento in questo stadio paiono maggiori rispetto alle altre possibilità di intervento precedentemente elencate. Ecco infatti l’intervento di un responsabile di Water UK (gestore impianti di depurazione acque in UK) invitato ad un’audizione dell’Environmental Audit Committee per spiegare come funzionano gli impianti rispetto ad una possibile intercettzione delle fibre e altre tipologie di microplastiche.

Sul sito di Mermaid si trovano alcune indicazioni su come ridurre il rilascio di microfibre dei tessuti sintetici tra i quali lavare i capi quando veramente è necessario, effettuare lavaggi brevi a bassissime temperature, abbassare al minimo i giri della centrifuga, utilizzare ammorbidenti ed evitare i tessuti sintetici. Rispetto all’utilizzo dell’ammorbidente il rischio che rileviamo noi è che così facendo  si sposti l’impatto ambientale su altri fronti se consideriamo le sostanze chimiche contenute negli ammorbidenti. Oltretutto un altro studio uscito recentemente a cura di Imogen Napper e Richard Thompson della School of Marine Science & Engineering dell’università di Plymouth (3) non ha riscontrato questo effetto preventivo degli ammorbidenti sul rilascio di microfibre. L’abbinamento di fibre sintetiche con cotone pare che invece riduca questa perdita di fibre sintetiche durante i lavaggi.
Per quanto riguarda l’utilizzo di fibre naturali andrebbero però preferiti tessuti che contengono fibre riciclate invece che vergini perché l’impatto della produzione del cotone o di altri tessuti come quelli derivati dalla cellulosa , ha pesanti impatti sull’ambiente.

In conclusione merita introdurre in questo dibattito una riflessione che riguarda il pile un tessuto con cui si rcavano felpe, tute e coperte realizzato a partire dalle bottiglie in PET(una plastica pregiata che ha un alto valore di mercato) provenienti dalle raccolte differenziate. Il rapporto The New Plastics Economy : rethinking the future of plastics tra gli innumerevoli ed interessanti dati circa l’economia della plastica rivela che quasi la metà dei contenitori in PET non vengono raccolti per essere riciclati e che solamente il 7% delle bottiglie di PET immesse al consumo viene trasformato in altre bottiglie: bottle to bottle (un processo di upcycle in cui il valore originario del materiale rimane). Pertanto anche l’attuale riciclo del PET, considerato il caso di maggior successo nel riciclo delle plastiche, presenta ampi margini di miglioramento essendo caratterizzato per vari motivi dal downcycling, come nel caso della trasformazione in tessuto pile.  Le fibre sintetiche possono essere una soluzione interessante per ridurre il consumo di materie prime, soprattutto se derivano da materia prima seconda, ma è indispensabile che le aziende coinvolte investano in ricerca e innovazione per trovare in tempi brevi delle soluzioni per eliminare gli effetti indesiderati per l’ambiente dei loro prodotti.

AGGIORNAMENTO SUL PROGRAMMA THE NEW PLASTICS ECONOMY

Pubblicato il piano di azione  “The New Plastics Economy: Catalising Action”, redatto in collaborazione con alcuni dei principali player di settore come Unilever, Coca Cola, Pepsy Cola, Danone, presentato nel gennaio 2017 durante l’annuale meeting del World Economic Forum di Davos. Il nostro primo approfondimento sul piano si può leggere qui.

(1) Dr Laurent Gilbert, Director for International Development of Advanced Research at L’Oréal, Ian Malcomber, Science Director at Unilever, and Dr Patrick Masscheleyn, Director R&D Beauty Care and Global Product Stewardship, Procter & Gamble.

(2) House of Commons Environmental Audit CommitteeIl Comitato di Controllo Ambientale attivo dal 1997 ha il mandato di verificare se le politiche e i programmi intrapresi dai dipartimenti governativi ed enti pubblici rispettano gli obiettivi di protezione ambientale e di sviluppo sostenibile.

Approfondimenti

Microsfere di plastica nemiche degli oceani– video di Greenpeace

Micro Plastics un video sul tema di 18 minuti realizzato in Australia

Banning microbeads from cosmetics is not enough Anthony Ricciardi Professore in Scienze Ambientali spiega in quali altri prodotti e situazioni vengono impiegate le microsfere.

(3) Microplastiche: attenzione alla lavatrice

Prime prove dell’ingestione di microplastiche da parte degli animali degli abissi

 

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