Packaging sostenibile e circolare: a quando?
La sfida che le aziende hanno davanti è quella di adottare quelle innovazioni tecnologiche che, oltre a rispondere alle esigenze funzionali richieste dal packaging, generino un impatto sistemico positivo sotto l’aspetto sociale, ambientale ed economico.
Prima parte di un intervento pubblicato nel volume “20 anni di gestione degli imballaggi – Cosa è stato fatto, cosa resta da fare”, a cura dell’Associazione Comuni Virtuosi con la collaborazione di ESPER. La seconda parte si trova qui.
A distanza di cinque anni dal lancio della campagna “Meno Rifiuti più Risorse in 10 mosse” , indirizzata al mondo della produzione e della distribuzione per sollecitare un approccio alla progettazione di beni e imballaggi in chiave sostenibile, lo scenario è sì cambiato, ma non in meglio.
La produzione di rifiuti urbani, industriali e da imballaggio è in crescita, così come quella quota del packaging dal basso valore post consumo che non può essere riciclata.
Nonostante i proclami a favore dell’ambiente in cui le aziende amano spendersi, quando si tratta di progettare un prodotto o un imballaggio la valutazione sull’impatto del fine vita rimane spesso confinata sullo sfondo.
Non è mistero che nella progettazione di un imballaggio siano gli aspetti attinenti alle varie funzionalità dell’imballaggio, insieme a considerazioni di ordine economico e di marketing, a determinarne le scelte. “Molte delle innovazioni che riguardano gli imballaggi cellulosici sono funzionali al prolungamento della shelf life dei prodotti” spiega infatti Comieco in una recente intervista.
PIU’ PACKAGING EQUIVALE A MENO CIBO SPRECATO?
Da quando il tema dello spreco alimentare ha acquisito maggiore rilevanza sui media e nell’opinione pubblica la tesi che l’industria propone con maggior forza è quella che il miglioramento della shelf life di un prodotto giustifichi lo spreco di materia e l’inquinamento provocato dallo smaltimento (evitabile) dei rifiuti da imballaggio come se fosse “un male minore”.
In realtà per poter affermare con cognizione di causa, che sia davvero impossibile progettare per uno specifico prodotto un imballaggio che possa coniugare funzionalità, l’appeal estetico e riciclabilità si dovrebbe entrare nel merito dei singoli casi.
Quando, ad esempio, i supermercati dedicano metri e metri di banco frigo a monoporzioni di frutta o verdura tagliata e sbucciata pronta all’uso, cibo pronto in vaschetta, o flaconcini di latticini vari (non riciclabili per le loro dimensioni) si sta risolvendo- o creando- un problema di spreco?
La tipologia dell’offerta, più o meno imballata, che si trova sugli scaffali della GDO ha un peso importante nell’indirizzare le scelte dei consumatori. Pertanto, se si vuole agire per ridurre lo spreco alimentare, così come del packaging, è necessario intervenire anche sulla natura dell’offerta che i cittadini trovano a scaffale rendendola più sostenibile. Un recente studio dell’ Università di Manchester ha comparato l’impatto ambientale in termini di anidride carbonica (CO2) prodotta dei sandwich venduti dalla GDO con l’impatto causato dai panini fatti in casa. Mentre l’impronta complessiva di carbonio di un panino, a seconda degli ingredienti, tra produzione della materia prima e processi produttivi vale dal 37%-67% dell’impatto complessivo vediamo come viene determinato il resto. Se il materiale impiegato per il confezionamento pesa per l’ 8.5 %, l’impatto dovuto al trasporto e alla refrigerazione nei negozi, è responsabile di ben un quarto dell’impronta di carbonio complessiva di un panino. Se lo spreco di cibo crea emissioni evitabili di gas ad effetto serra quante emissioni crea questo modello di consumo complessivamente? Non è che la cura allo spreco di cibo praticata aumentando la quantità e qualità di prodotti (spesso in monodosi e pertanto ad alto tenore di imballaggio) si rivela una medicina che non solo non cura ma peggiora il male?.
Una risposta a questa domanda è arrivata da uno studio condotto Friends of the Earth Europe e Zero Waste Europe che rileva che il consumo annuale di imballaggi in plastica è cresciuto contemporaneamente allo spreco alimentare sin dagli anni ’50 sino ad arrivare in Europa ad un consumo annuo di 30 kg di plastica e ad uno spreco di 173 kg di cibo su base pro capite. In particolare lo studio ha rilevato tra il 2004 e il 2014 un aumento del 40-50% delle confezioni di plastica, e un raddoppio dello spreco di cibo.
Un caso emblematico della difficoltà o meglio l’impossibilità di contrastare lo spreco di cibo, senza cambiare i modelli di consumo che gli stessi supermercati contribuiscono ad alimentare con l’attuale offerta, è il caso dell’insegna britannica Tesco.
Tesco che è diventata la prima catena di supermercati nel Regno Unito a pubblicare i dati sullo spreco alimentare nei suoi punti vendita ha annunciato di avere mancato l’impegno, assunto nel 2016, di non sprecare alcun alimento sicuro per il consumo umano entro la fine del 2017/18.
Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) per sostenere la richiesta di risorse da parte della popolazione mondiale al 2030 avremo necessità del 40% in più di legname e fibre cellulosiche, del 40% in più di acqua , del 50% in più di cibo e del 40% in più di energia.
Seguendo anche il filo della campagna “Meno rifiuti più risorse” diventa pertanto più che mai urgente intervenire prima che il rifiuto venga generato.
La prima mossa rivolta al mondo produttivo recita infatti: disegnare i prodotti e i servizi del futuro in una visione di design sistemico (o di economia circolare) ispirata ai sistemi naturali dove nulla va sprecato. L’economia circolare è infatti un’economia rigenerativa dove i prodotti a fine vita vengono metabolizzati in un sistema biologico per tornare alla terra, oppure tecnico per essere utilizzati in nuovi cicli produttivi mantenendo il valore economico dei materiali il più a lungo possibile.
DIRETTIVE EUROPEE SUI RIFIUTI E CIRCULAR ECONOMY
L’Europa sta spingendo per avviare una transizione verso un’economia circolare che punta a ridurre il prelievo di risorse naturali, ridurre al minimo i rifiuti da smaltire attraverso modelli di produzione e di consumo che prevengano la generazione del rifiuto, prolunghino il ciclo di vita dei prodotti, promuovano il riuso e massimizzino il riciclo.
Il primo passo concreto e rilevante in questo percorso sarà l’attuazione della nuova Direttiva europea sui rifiuti e del pacchetto sull’economia circolare che sarà in fase di recepimento dal 2018.
La Commissione ha fissato specifici target di riciclo degli imballaggi, differenziati per materiale, che i paesi membri devono perseguire: entro il 2025 ogni stato dovrà riciclare almeno il 65% dei suoi rifiuti da imballaggio e, nello specifico, il 55% della plastica, il 60% del legno, il 75% dell’acciaio, dell’alluminio, del vetro e della carta. Entro il 2030, invece, il target da raggiungere dovrà essere quello del 75%, con un obiettivo del 75% per gli imballaggi in legno e dell’85% per quelli in acciaio, alluminio, vetro, carta e cartone. Per la plastica rimane il 55%. (questo dato verrà a breve aggiornato con l’uscita del documento definitivo ndr)
QUALCHE DATO SULL’AUMENTO DEGLI IMBALLAGGI
Secondo i dati del Conai la produzione di imballaggi in Italia ha avuto nel 2016 una crescita del 3,2% rispetto al 2015 e l’impiego di imballaggi è cresciuto del 4,4% .
Nel 2016 il peso degli imballaggi immessi al consumo ha raggiunto i 12,6 milioni di tonnellate con una crescita del 2,2% rispetto al 2015.
Uno studio di GEO -Green Economy Observatory- (1) dello IEFE-Università Bocconi presentato recentemente ha stimato quanti rifiuti da imballaggio potrebbero essere prodotti al 2030. Il modello utilizzato dallo studio ha quantificato in 4 milioni di tonnellate la quantità di rifiuti che sarebbe possibile evitare grazie a politiche di riduzione e innovazione tecnologica. Quest’importante riduzione viene però minimizzata da un aumento nella produzione di rifiuti – che vale più del doppio– dovuto alle modalità di consumo e stili di vita . Tra i fattori che contribuiscono all’aumento degli imballaggi c’è un crescente ricorso agli acquisti online e la riduzione della dimensione dei nuclei famigliari che favorisce un maggior consumo di cibo pronto all’uso e monoporzioni a maggiore impatto di packaging.
GOOD NEWS
Lo studio di GEO presentato nel corso del convegno La transizione a una circular economy e il futuro degli imballaggi in Italia, è portatore di una buona notizia perché il raggiungimento degli obiettivi di riciclo al 2030 posti dall’Unione Europea per il settore degli imballaggi non comporterà solamente un aumento dei quantitativi di rifiuti da gestire, e relativi costi, ma anche importanti benefici occupazionali ed ambientali.
Secondo lo studio il raggiungimento dei target al 2030 comporterà un aumento dell’occupazione diretta nel settore di circa 15.000 unità rispetto al 2015 e il risparmio di circa 18 milioni di tonnellate di CO2eq. Se monetizzato, tale risparmio ammonterebbe a circa 1 miliardo di euro di esternalità evitate.
Quale è il livello di diffusione dell’economia circolare in Italia? Indagine sul livello di adesione dell’economia circolare in Italia da parte della filiera italiana degli imballaggi commissionata da Conai e condotta dall’Osservatorio Green Economy di IEFE Bocconi e Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Presentazione.