Packaging sostenibile e circolare: come arrivarci?

La sfida che le aziende hanno davanti è quella di adottare quelle innovazioni tecnologiche che, oltre a rispondere alle esigenze funzionali richieste dal packaging, generino un impatto sistemico positivo sotto l’aspetto sociale, ambientale ed economico.
Seconda parte di un contributo pubblicato nel volume “20 anni di gestione degli imballaggi – Cosa è stato fatto, cosa resta da fare”. La prima parte è disponibile qui.

DIFFERENZIARE IL CONTRIBUTO AMBIENTALE
Dato per scontato che sono le scelte industriali in fase di progettazione di un bene o imballaggio a determinare una sua riusabilità o riciclabilità, è evidente che la partecipazione del mondo industriale è imprescindibile. Per spingere l’industria verso l’ecodesign e un maggiore utilizzo di imballaggi riutilizzabili o ricondizionabili (sia nel settore B2B che B2C), servono però sia incentivi fiscali che obiettivi di prevenzione/riuso/riciclo obbligatori per legge come sostenuto nella prima parte di questo contributo.

Un altro piano su cui agire sempre all’interno dei possibili strumenti finanziari per l’economia circolare per spingere le aziende verso l’adozione di imballaggi eco-compatibili – e senza che si debba aspettare una legge- è quello di fare pagare alle aziende un contributo ambientale differenziato in base all’impatto ambientale dei propri imballaggi. Al momento l’unico tra i consorzi che fanno capo al Conai che ha presentato un progetto in tal senso è il Corepla il consorzio per gli imballaggi in plastica entrato in vigore a Gennaio 2018.

Il nuovo sistema sviluppato da Corepla prevede il pagamento di un Contributo Ambientale CAC differenziato sulla base dei criteri di provenienza degli imballaggi (industriale o domiciliare) e della loro maggiore o minore selezionabilità e riciclabilità.

Aggiornamento gennaio 2020: La prima versione del sistema che prevedeva tre soglie contributive differenziate per tre categorie di imballaggi (che includevano  imballaggi eterogenei tra loro da facilmente a per nulla riciclabili) è stata modificata in due tempi.  L’ultima versione vede quattro fasce contributive :

  1. La fascia A che riguarda gli imballaggi del circuito commercio&industria, con un contributo ambientale pari a 150 euro/ton.
  2. La B1 riguarda imballaggi come flaconi e bottiglie con una filiera di selezione e riciclo efficace e consolidata da circuito domestico, con un contributo di 208 euro/ton.
  3. La fascia B2, riguarda imballaggi con una filiera di selezione e riciclo in fase di consolidamento e sviluppo, sia da circuito domestico che da commercio & industria, e il relativo contributo ambientale sarà di 436 euro/ton. Rientrano in questa nuova fascia, per esempio, le borse riutilizzabili (con alcune eccezioni), gli erogatori meccanici, le etichette coprenti (sleeves) e non coprenti, gli imballaggi flessibili in PE e PP monomateriale o multistrati PE/PP (diversi da quelli di Fascia A), seminiere e cassette alimentari in EPS destinate al circuito C&I, tappi, chiusure e coperchi rigidi diversi da quelli di fascia A e alcuni contenitori rigidi in PP monopolimero o HDPE monopolimero di colore diverso dal nero.
  4. Infine la fascia C, quella degli imballaggi non selezionabili o riciclabili allo stato delle tecnologie attuali, vedrà il contributo aumentare sensibilmente, da 369 a 546 euro a tonnellata.

Il sistema francese di Citeo ( ex Eco Emballages) ha da tempo introdotto un sistema di bonus o malus in sede di pagamento del contributo ambientale che penalizza in modo graduale un imballaggio non facilmente riciclabile per dare tempo al produttore di rivedere la progettazione ( dal 10% di aggravio si passa al 50% e successivamente al 100% o allo stop). Al contrario sono previsti dei bonus cumulabili per azioni di miglioramento introdotte come progettazione o attività di comunicazione compiute dal produttore che promuovono il corretto conferimento e riciclo. Le nuove disposizioni per il 2020 spiegate in questo video.

 

Anche la Germania ha previsto l’applicazione di un contributo differenziato a seconda dell’effettiva riciclabilità dell’imballo prodotto all’interno di una legislazione che sarà operativa dal primo gennaio 2019. Al momento stanno valutando come misurare la riciclabilità con l’aiuto di standard di riferimento.

RIPENSARE GLI IMBALLAGGI PROBLEMATICI PER IL RICICLO
L’iniziativa Meno rifiuti più risorse chiede ai produttori ed utilizzatori di imballaggi di progettare secondo i criteri dell’eco design privilegiando imballaggi monomaterici invece che in materiali poliaccoppiati (plastica,carta,alluminio) con parti facilmente ed intuitivamente separabili o rimovibili e privi di accessori superflui.
Il mercato dell’imballaggio non riciclabile o che non viene riciclato è in aumento.

Alcuni esempi dal mercato del packaging flessibile sono le buste in poliaccoppiato usate per confezionare varie tipologie di prodotti freschi o secchi. Anche uno degli imballaggi di maggior successo il Tetra Pack, che ha conquistato una quota consistente del mercato delle bevande e dei prodotti derivati dal latte appartiene a questa categoria. Come ha dichiarato la multinazionale nel 2016 sono state avviate a riciclo circa 25.000 tonnellate di cartoni per bevande, che rappresentano il 26% dell’immesso al consumo.
Un altro esempio di packaging riciclabile che non viene riciclato sono tutte le bottigliette e flaconcini  in PET o HDPE che hanno dimensioni inferiori ai 7cm. Un esempio sono i popolari flaconcini del reparto fresco latticini.

PET opaco e colorato 
Nonostante il PET sia tra le plastiche la più pregiata e riciclata almeno la metà delle bottiglie di bevande in PET sfugge in Italia e nel mondo ai sistemi di raccolta.
Secondo la statunitense Association of Postconsumer Plastic Recyclers (APR), in 10 anni i costi necessari per produrre riciclato in PET per il mercato sono raddoppiati a causa delle caratteristiche degli imballaggi immessi al consumo. Come ha allertato già qualche anno fa l’associazione Plastic Recyclers Europe PRE l’esigenza di trovare sbocchi post consumo per i granuli derivati da contenitori di PET in colorazioni scure o opacizzati ha portato instabilità in altri mercati presidiati da altri polimeri post consumo. In questo caso l’industria che ricicla l’HDPE – che diventa materia prima seconda per tubi, vasi e altri manufatti- rischia di entrare in crisi qualora subisca una forte concorrenza del PET colorato.

Alcuni settori dei beni di consumo, come quello del latte o dei prodotti per la casa e la cura della persona, sono passati dall’utilizzo dei contenitori in HDPE ( foto in alto) a quelli in PET colorato o opaco creando problemi e costi aggiuntivi a vari livelli della filiera dell’avvio a riciclo e del mercato post consumo. Nelle bottiglie il PET opaco viene preferito alla versione in HDPE per alcuni vantaggi di tipo economico e per le migliori performance che questi contenitori consentono durante i processi produttivi.
In Francia Eco Emballages ha in corso un progetto specifico per studiare la riciclabilità e promuovere sbocchi di riciclo per Il nodo dolente resta il fine vita visto che i pigmenti opacizzanti usati come TiO2 Biossido di titanio o il carbon black complicano prima la fase di selezione automatica e riconoscimento a raggi infrarossi, e successivamente ostacolano il riciclo. Il PET opaco non ha un mercato post consumo che assorba le quantità in entrata in quanto può essere riciclato esclusivamente in una miscela con PET colorato per la produzione di fibre sintetiche, o per produrre alcuni manufatti, ma a condizione che non superi il 15% della massa totale.
In Francia la percentuale di PET opaco (foto sotto) selezionato con il PET colorato rappresenta oltre il 12% della composizione di queste balle. I costi stimati dal piano Catalysing Action causati al sistema di riciclaggio francese dalle circa 5.000-6.000 tonnellate di contenitori in PET opaco ammontano a circa 1-2 milioni di dollari all’anno.

Attualmente in Italia i contenitori in PET opaco, con qualche eccezione, non vengono per lo più selezionati per il riciclo ma avviati direttamente con il flusso delle plastiche miste a recupero energetico perché manca un mercato di sbocco. Sulla base dei dati francesi, non essendo disponibili dati nazionali, si potrebbe ipotizzare che si tratti di circa 5.000-6.000 tonnellate annue. Ad oggi quasi tutte le marche produttrici di latte a lunga conservazione e jogurt , e delle insegne della GDO rifornite dal gruppo per le referenze a marca propria, sono passate ai contenitori in PET opaco.

Etichette Coprenti
Oltre agli additivi coloranti una sfida al riciclo per i contenitori in PET sono le etichette coprenti termoretraibili, o sleeves che rivestono le bottiglie in PET trasparente in quanto realizzate in polimeri incompatibili con il riciclo. Uno studio di APR ( Association of Plastic Recyclers) ha stimato che l’utilizzo delle etichette nei contenitori in PET incida di circa 44-88 dollari per ogni tonnellata di PET riciclato e dai 2 ai 4 centesimi per ogni 500 grammi di prodotto lavorato. In Italia Corepla ha stimato che nel 2011 siano state raccolte 5.000 tonnellate di confezioni con etichette coprenti.
L’azienda campana Erreplast è l’unica azienda italiana ad essersi dotata di un costosissimo impianto per rimuovere le sleeve a secco e tornare alle rese precedenti all’entrata di queste etichette nel mercato.
Secondo Erreplast la presenza di tali bottiglie costituisce circa tra il 5-8% (dipende dalle aree geografiche, consumi, stagionalità, ecc) del flusso delle bottiglie, con trend in crescita e, soprattutto, con un effetto “trascinamento” certamente maggiore. Le sleeve contribuiscono a determinare riduzioni dell’indice di riciclo quantificabili tra il 25-30% . Fatto cento il peso di una balla di rifiuti di imballaggi selezionati, solo il 70-75% diventa pura scaglia riciclata.

 

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