Riciclo: indietro tutta?

I “falsi amici” del riciclo sono in ascesa: coloranti, opacizzanti, etichette coprenti sleeves e stand-up poach, buste in multistrato non riciclabili.

Mentre comincia a entrare nel sentire comune il concetto che la raccolta differenziata sia il migliore sistema per gestire i rifiuti una volta prodotti, per valorizzarli invece di distruggerli, i decisori politici e aziendali non pare stiano ancora puntando a gestire i rifiuti come risorse.  Eppure le direttive comunitarie pongono proprio l’uso efficiente e sostenibile delle risorse come un obiettivo prioritario , non solamente per preservare l’ambiente, ma come unica strategia economica possibile per affrontare la mancanza di materie prime, ridurne le importazioni e competere nel mondo globale. Al contrario le politiche sui rifiuti del Governo portano in auge con l’articolo 35 dello sblocca Italia un modello obsoleto e anacronistico come l’incenerimento che solleva i produttori dal prendersi carico,del fine vita dei propri prodotti. Continua a mancare un piano di prevenzione e di riduzione degli rifiuti compresi quelli da imballaggi con obiettivi vincolanti allo studio da parte del Governo.

Perché raccogliere in modo differenziato se l’obiettivo non è il riciclo?

La cosa più ovvia che un cittadino si aspetta quando differenzia gli imballaggi, è che i materiali vengano valorizzati. Anche perché gli imballaggi il cittadino paga due volte: quando acquista i prodotti confezionati, e quando li conferisce al sistema di raccolta.
Se poi questi imballaggi non possono neanche essere riciclati,a causa di caratteristiche progettuali incompatibili con la tecnologia degli impianti presenti sul territorio, il cittadino virtuoso, oltre al danno, subisce anche la beffa.
A dire il vero un po’ beffati i Comuni italiani già lo sono perché devono spendere molto di più di altri paese europei -con un sistema di gestione simili al nostro- per la raccolta e gestione dei rifiuti da imballaggio. Questo perché ai Comuni arrivano contributi più bassi dai consorzi Conai rispetto ad altri Comuni europei e perché non incassano i proventi della vendita dei materiali differenziati ceduti gratuitamente alle piattaforme di raccolta dei consorzi. Di questi ed altri aspetti penalizzanti per i Comuni e l’economia del riciclo che caratterizzano la gestione degli imballaggi in Italia si è già occupata l’Agcom in due occasioni nel 2008 e nel 2016 .

La vera innovazione è la prevenzione
Per affrontare la sfida della sostenibilità non è più possibile gestire i rifiuti, siano essi speciali, urbani o da imballaggio, a valle della supply chain, senza intervenire sul modello produttivo che li genera. Una gestione eco-efficiente degli imballaggi a fine vita può avvenire solamente quando la progettazione ha tenuto conto del contesto specifico o sistema in cui il bene o imballaggio svolge la sua funzione e conclude il suo ciclo di vita. Così come chiariscono la prima e seconda mossa della nostra iniziativa Meno Rifiuti più Risorse. Negli ultimi anni vengono immessi sul mercato nuovi imballaggi spacciati come il massimo dell’innovazione e della sostenibilità poiché ricavati da fonti rinnovabili, ma che a fine vita non possono essere riciclati o compostati  dall’impiantistica nazionale. Le aziende, in assenza di una legislazione stringente in termini di prevenzione (qualitativa e quantitativa) degli imballaggi, e di ogni altra regia nazionale che coordini le azioni su base volontaria, si muovono come più conviene loro. Nonostante le aziende abbiano da tempo diversi strumenti a disposizione, anche web based ad accesso gratuito, per valutare l’impatto ambientale con un’analisi LCA dei diversi tipi di imballaggio già in fase di progettazione. In Italia l’Ecotool messo a disposizione delle aziende da qualche anno da Conai (anche se parrebbe in corso di aggiornamento) non include, incredibilmente, nel calcolo dell’impatto ambientale la fase post consumo dell’imballaggio che è assolutamente determinante sotto l’aspetto ambientale ed economico.

E’ pertanto assolutamente necessario per il packaging, così come per altri beni che tutti gli attori della filiera del consumo degli imballaggi, dialoghino tra loro e in particolre i responsabili delle scelte sul packaging e i soggetti che gestiscono le fasi post consumo del packaging (raccolta-selezione-riciclo). Sono gli stessi specialisti ed esperti della sostenibilità del packaging ad affermare che solamente attraverso un ampio coinvolgimento degli attori lungo la catena di distribuzione (dai fornitori di materie prime sino ai clienti finali) è possibile promuovere azioni incisive di miglioramento, anche radicale. (1) Siccome le campagne e altre azioni di sensibilizzazione volte a stimolare una produzione di packaging progettato secondo i criteri dell’eco-design non hanno prodotto miglioramenti, nè a livello qualitativo nè quantitativo, andrebbe utilizzata la leva economica del contributo ambientale  (CAC contributo ambientale conai). Solamente facendo pagare un CAC commisurato all’impatto ambientale che un imballaggio ha lungo tutto il suo ciclo di vita si otterrebbe una internalizzazione del costo del suo fine vita a carico del produttore/utilizzatore  che attualmente ricade su Comuni e cittadini/consumatori. Un contributo più alto per gli imballaggi non riciclabili o difficilmente riciclabili, come abbiamo proposto nelle nostre iniziative   , incentiverebbe quindi il mercato verso una produzione di imballaggi più sostenibile. La prerogativa di affrontare con un approccio sistemico l’economia del packaging di plastica ha trovato una solida base attuativa nel progetto The New Plastics Economy e nella sua roadmap : The NPE Catalysing Action lanciato nel 2016-2017 dopo la pubblicazione di questo post.

 

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