I sistemi di deposito per le bevande fanno bene all’economia, all’ambiente e alle casse comunali
Dal Nord America, all’Australia e in Europa aumenta l’interesse per un ritorno dei sistemi di deposito sull’onda della crescente indignazione per i livelli di inquinamento da plastica raggiunti a livello globale, e dalla necessità di trovare delle misure che riducano i rifiuti marini.
Questi sistemi prevedono l’applicazione di un piccolo sovrapprezzo al prezzo di vendita delle bevande che viene restituito all’utente che restituisce il contenitore vuoto per il riciclaggio.
I sistemi di deposito si avvalgono oggigiorno delle tecnologie più efficaci e sofisticate per intercettare a fine vita i contenitori come le Reverse Vending Machines (RVM) , dispositivi automatici in cui si conferiscono bottiglie e lattine vuote per ottenere in cambio benefit di natura economica (contanti o sconti) o di altra natura (ad esempio biglietti per il trasporto pubblico locale, per qualche evento, o come strumento per donazioni varie ).
Sono ora oltre 40 le giurisdizioni in tutto il mondo che hanno implementato sistemi di deposito per i diversi contenitori di bevande, e Inghilterra, Scozia e Malta hanno annunciato che presto seguiranno l’esempio.
Anche alcune delle maggiori economie del mondo stanno prendendo in considerazione la strategia: è il caso dello stato indiano del Maharashtra (capitale Munbai) che ha già identificato una prima rete di punti di raccolta.
Nel Regno Unito, alcuni gruppi della grande distribuzione tradizionalmente schierati contro i sistemi di deposito, tra cui Co-op, Iceland Foods, Morrisons e Tesco, ora sostengono l’introduzione di un cauzionamento nel Regno Unito. Nel luglio 2018, il Governo Scozzese ha avviato una consultazione pubblica durata 4 mesi per raccogliere le opinioni degli stakeholder e tenerne conto nel processo legislativo.
I sistemi di deposito su cauzione, rispetto ad altri sistemi di raccolta , hanno dimostrato di poter raggiungere maggiori livelli di efficacia. Tra i quali : percentuali di intercettazione degli imballaggi che superano il 90% dell’immesso al consumo, la produzione di materia riciclata di qualità superiore e di offrire maggiori opportunità per un ritorno dei sistemi di riutilizzo. Un caso studio che conferma questa ipotesi è quello dell’Oregon.
Per saperne di più ne parliamo con un esperto sul tema di fama internazionale. Si tratta di Clarissa Morawsky, cofondatrice e direttore di Reloop una piattaforma paneuropea multi-stakeholder con sede a Bruxelles che promuove modelli di economia circolare per una preservazione delle risorse. Reloop include soggetti industriali come produttori, distributori, riciclatori, istituzioni accademiche, e varie associazioni non governative ( tra i quali i Comuni Virtuosi) . La piattaforma si propone, anche attraverso la condivisione delle informazioni, di spingere la politica – sia in sede europea che a livello di governi – ad agire rispetto a cinque tematiche chiave: rendere obbligatorio per legge una quota di contenuto riciclato in nuovi prodotti, promuovere gli imballaggi/contenitori riutilizzabili , migliorare le metodologie di misurazione delle performance di riciclaggio, migliorare i sistemi di raccolta e promuovere il ritorno dei sistemi di deposito.
Dopo un periodo in cui sembra essere stato dimenticato e confinato in poche situazioni specifiche, i sistemi di deposito con cauzione stanno tornando alla ribalta negli ultimi anni. Cosa ne impedisce l’affermazione definitiva?
Nel tentativo di ridurre i rifiuti e aumentare il riciclaggio, sempre più governi nazionali o locali si rivolgono ai sistemi di cauzionamento per il recupero dei contenitori di bevande a fine vita.
Nonostante il successo di questi programmi, storicamente i sistemi di deposito sono stati a lungo contrastati dalle industrie delle bevande, degli imballaggi e dai rivenditori di bevande al dettaglio. Da anni, decadi ormai, questi gruppi spendono milioni di dollari in sforzi per abrogare o impedire l’espansione di programmi esistenti o per bloccare nuove legislazioni in tal senso. Ma il vento sta cambiando: consumatori e politici sono sempre più attenti ed informati sul tema e si aspettano delle soluzioni , anche da parte dell’industria.
Quanto l’aspetto normativo può influire sullo sviluppo di sistemi di deposito ?
Non poco, direi. Con la recente revisione della legislazione dell’Unione Europea sui rifiuti, i produttori dovranno assumersi almeno la metà dei costi di gestione dei loro imballaggi a fine vita e dovranno raggiungere obiettivi di riciclaggio più elevati entro il 2030: il 60% per l’alluminio, l’80% per l’acciaio, il 75% per il vetro e il 55% per gli imballaggi in plastica. Inoltre, la metodologia per calcolare i tassi di riciclaggio sarà molto più rigorosa, rendendo più difficile gonfiare artificialmente tali numeri.
Non solo: a ottobre 2018 è stata approvata a larghissima maggioranza la direttiva SUP (Single Use Plastics) per una riduzione dell’impatto ambientale di alcuni dei prodotti in plastica monouso più pervasivi, molti dei quali alimentano il marine litter. Per citarne qualcuno si tratta di cannucce, contenitori e stoviglie , cannucce, cotton fioc, aste per palloncini, ecc. Inoltre, la direttiva fissa per il 2025 (1) l’obiettivo del 90% di raccolta per le bottiglie di plastica, offrendo agli Stati membri una certa flessibilità su come raggiungere gli obiettivi . Quello che rimane fuori discussione è che saranno i produttori a dovere assumersi la parte più consistente dei costi di raccolta e avvio a riciclo dei propri imballaggi.
Siccome i prossimi sviluppi comporteranno per le aziende delle bevande un aumento dei costi e una diminuzione dei profitti, non ripensare urgentemente il modello di business sarà per le aziende un po’ come stare a bordo di una nave che, prima o poi, affonderà.
Quali potrebbero essere i vantaggi per le aziende nell’aderire ad un sistema di deposito?
Innanzitutto un miglioramento dell’immagine del marchio perché i contenitori di bevande che si trovano nel littering non sono solamente una minaccia per l’ambiente, ma anche per la reputazione aziendale. Quest’ultimo è decisamente un tema sensibile per le aziende considerando le ingenti risorse finanziarie che spendono ogni anno per consolidare o migliorare il proprio posizionamento.
Aziende come la Coca-Cola stanno subendo un crescente attacco da parte di organizzazioni non governative come Greenpeace per la loro incapacità di fare a mano delle plastiche monouso e di adottare alternative più sostenibili per commercializzare i propri prodotti.
In secondo luogo solamente i depositi su cauzione possono il raggiungimento degli obiettivi ambiziosi resi noti dai produttori leader di bevande nell’ultimo anno.
Coca-Cola, ha annunciato lo scorso anno che vuole raddoppiare la quantità di contenuto riciclato nelle sue bottiglie arrivando al 50% e raccogliere una quantità di contenitori a fine vita pari alle quantità del suo immesso annuale entro il 2025. Tali obiettivi sono stati poi confermati nel piano “A world without waste “ presentato ad inizio 2018. La Federazione europea delle acque in bottiglia (EFBW) si è impegnata a raccogliere il 90% di tutte le bottiglie in PET al 2025, come media europea, e a utilizzare almeno un 25% di materia riciclata nelle bottiglie.
Sulla base dei dati più recenti, il tasso di raccolta/riciclaggio per i nove sistemi di deposito attivi in Europa è infatti pari al 90% come media. I risultati appurati sul campo confermano inoltre che solamente i sistemi di deposito sono in grado di fornire una fonte costante ed omogenea di materie prime pulite che diventano materie prime seconde per nuove bottiglie , riducendo significativamente l’impronta di carbonio dei contenitori.
E infine chiudendo la parte sui vantaggi che i sistemi di deposito offrono ai produttore c’è il fatto che ridurre al minimo l’impatto ambientale dei propri prodotti li aiuta anche a minimizzare il rischio di incorrere in cause legali negli anni futuri.
Provo a spiegare cosa intendo prendendo come esempio l’industria dei combustibili fossili e il suo impatto sul riscaldamento climatico . Man mano che i costi causati dai cambiamenti climatici diventavano più evidenti, è iniziato da qualche tempo un dibattito globale su chi dovrebbe pagare i danni che, secondo alcune stime, ammontano già a circa 600 miliardi di dollari all’anno. Negli Stati Uniti, ci sono già diverse cause in corso che chiedono un risarcimento per i danni legati al cambiamento climatico da parte delle vittime di eventi come uragani, innalzamento del livello del mare, ondate di caldo e siccità.
Potrebbe accadere che in futuro i Paesi colpiti da rifiuti marini promuovano nuove leggi che aprano la strada a possibili contenziosi con “gli inquinatori”. Intanto la direttiva SUP indica i produttori come i soggetti responsabili del finanziamento della raccolta dei rifiuti e anche della rimozione dei rifiuti marini.