Plastica: anche per gli imballaggi la sostenibilità non può attendere
In vista dell’approssimarsi della Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti, quest’anno dedicata alla riduzione dell’impatto ambientale degli imballaggi torniamo sul tema oggetto della nostra iniziativa a lungo termine Meno rifiuti più risorse in 10 mosse.
L’iniziativa si rivolge direttamente al mondo aziendale con una serie di richieste improntate all’uso sostenibile delle risorse.
In questo secondo approfondimento dedicato al rapporto The New Plastics Economy: rethinking the future of plastics -il più corposo studio mai prodotto sull’economia della plastica a livello globale- vengono richiamate le prime tre mosse della nostra iniziativa nella parte dedicata alle soluzioni. La prima parte si trova qui.
La prima mossa chiede alla aziende produttrici di ridisegnare prodotti e cicli produttivi in un’ottica di economia circolare. Una progettazione circolare -o ancora meglio di design sistemico– di un prodotto prende in esame l’intero suo ciclo di vita escludendo alla fonte sprechi di risorse e altri effetti collaterali come la produzione di rifiuti e inquinamento. I modelli economici circolari mantengono il valore originale di un prodotto il più a lungo possibile all’interno di nuovi cicli economici.
Con la seconda e la terza mossa abbiamo analizzato quali modifiche sia necessario applicare al design per evitare che imballaggi, seppur realizzati in una plastica pregiata come il PET finiscano sprecati, oppure impiegati in applicazioni di minor valore come la produzione di pile (down cycling). In questo post abbiamo raccontato quali sono gli imballaggi fortemente problematici ai fini del riciclo ( in costante crescita) basandoci anche sugli allarmi lanciati dalle associazioni dei riciclatori.
Il comparto del riciclo viene messo da tempo in difficoltà da un insieme di fattori ai quali si aggiunge un aumento dei costi nei processi di riciclo dovuto ad un design che insegue le sirene del marketing e non considera il fine vita degli imballaggi. I riciclatori sono già alle prese con le difficoltà create dal basso prezzo del petrolio che rende più conveniente l’impiego di plastica vergine, e la mancanza di un mercato per le materie prime seconde. Uno studio USA ha quantificato i maggiori costi di gestione per il riciclo di bottiglie con sleeves (etichette coprenti) in un costo che varia dai 2 ai 4 centesimi di dollaro per ogni 500 grammi di prodotto lavorato. In generale, negli ultimi 10 anni, si è verificato un raddoppio dei costi di produzione per il riciclato in PET.
In questo interessante video dibattito avvenuto durante l’ultimo evento del WEF- World Economic Forum nel 2016 a Davos sul tema : Rethinking Plastics, il Ceo di Suez , Jean-Louis Chaussade si chiede perchè il mercato richieda PET trasparente per poi colorarlo e compromettere o complicare le successive fasi di riciclo. I partecipanti sono stati: Ellen MacArthur (Fondatrice dell’Ellen MacArthur Foundation), Dominic Kailash Nath Waughray e Oliver Cann (WEF), Jean-Louis Chaussade (Suez).
L’Italia che rappresenta il secondo paese europeo nella domanda di materie plastiche non è ovviamente risparmiata da questo trend. Lo testimonia il caso dell’azienda Erreplast che ha dovuto investire 1,5 milioni di euro dotandosi di una tecnologia chiamata Delabeler linea per eliminare le sleeves dalle bottiglie e tornare ai livelle di resa di 15 anni fa. Le sleeves che vengono rimosse in quanto interferiscono con il riciclaggio delle bottiglie in PET trasparente sono realizzate in PVC, PET, e polistirene. Possono invece essere riciclate con le bottiglie solamente le sleeves con le specifiche tecniche indicate dai riciclatori, ammesso che i produttori di imballaggi li consultino per tempo.
THE NEW PLASTICS ECONOMY : Rethinking the future of plastics
Un rapporto e un progetto della durata di tre anni della Ellen McArthur Foundation per l’economia circolare
Il materiale più problematico e sfidante e allo stesso tempo maggiormente utilizzato in tutte le sue varianti e possibili combinazioni con altri materiali è la plastica o meglio le plastiche.
Una gestione inefficace del fine vita delle plastiche- anche nei paesi industrializzati- unita alla disastrosa gestione dei rifiuti da parte di 5 paesi asiatici ( responsabili del 55 /65% della plastica dispersa in mare), sta minacciando gravemente mari ed oceani. Uno studio del 2014 ha stimato che, in mancanza di provvedimenti, avremo al 2025 nei mari, una tonnellata di plastica per ogni tre tonnellate di pesce e più plastica che pesce al 2050. Nuovi studi si aggiungono ogni anno a confermare che tutti gli organismi marini sono vittime dell’ingestione di plastica di varia natura: dai frammenti di fibre sintetiche ingerite dalle larve di pesce ad altre tipologie di plastiche come le microsfere dei cosmetici o frammenti plastici di varie grandezze che diventano il cibo per pesci più grandi. Le ripercussioni sulla salute dell’uomo saranno inevitabili poiché la quota di plastica che entra nella catena alimentare è destinata a crescere.
Lo studio The New Plastics Economy contiene dati preoccupanti di cui vi abbiamo già raccontato in un primo approfondimento e tutta una serie di aree di intervento che andrebbero esplorate per affrontare le attuali diseconomie del settore. Nel rimandarvi al precedente approfondimento riportiamo solamente un paio di dati e numeri presenti nel rapporto.
L’attuale gestione degli imballaggi in plastica causa su base annuale un danno economico al capitale naturale che supera il valore totale dei profitti generati dal settore. Sotto il profilo economico non va meglio poiché il 95% del valore del packaging, stimabile in 60-120 miliardi di dollari, si perde dopo un singolo utilizzo.