Perchè questa Campagna
La prosperità è basata su risorse naturali più che finanziarie
La valutazione quinquennale “L’ambiente in Europa – Stato e prospettive nel 2015” (SOER 2015) dell’Agenzia europea dell’ambiente mette in risalto un aspetto importante: se si vogliono affrontare le sfide ambientali che ci attendono, servono modifiche profonde nei sistemi di produzione e di consumo, vere radici dei problemi ecologici degli Stati Ue.
L’Europa è ancora ben lontana dal centrare l’obiettivo di “vivere bene entro i limiti del nostro pianeta” entro il 2050, come previsto nel 7° Programma d’azione europeo per l’ambiente. Sebbene utilizziamo le risorse naturali in modo più efficiente rispetto a prima, stiamo continuando a deteriorare le fonti primarie da cui dipendiamo in Europa e nel resto del mondo. Le sfide maggiori rimangono problemi quali la perdita della biodiversità e il cambiamento climatico.
Anche il Wwf nel nuovo rapporto, Dalla crisi all’opportunità: cinque passi verso economie europee sostenibili sostiene che gli investimenti a tutela del capitale naturale possono garantire all’Europa ritorni economici (oltre che ambientali) che vanno ben oltre le possibilità dell’attuale Piano Juncker circoscritte a un tetto massimo di 315 miliardi di euro. A beneficiarne sarebbe anche l’occupazione con oltre 20 milioni di posti di lavoro che verrebbero a crearsi.
Gestione attuale dei rifiuti plastici sul banco degli imputati
Lo studio più recente sull’attuale gestione della plastica è il rapporto The New Plastics Economy: Rethinking the future of plastics uscito nel gennaio del 2016 dalla Ellen McArthur Foundation. Lo studio valuta per la prima volta i flussi globali costituiti da imballaggi rilevando che, l’utilizzo monouso degli imballaggi in plastica come maggiormente si verifica determina una perdita del 95% del valore del materiale, che corrisponde a 80-120 miliardi di dollari persi dall’economia ogni anno. Inoltre le esternalità negative causate da questa situazione vengono prudenzialmente stimate dall’UNEP in circa 40 miliardi di dollari. Considerndo invece gli indici di crescita previsti del consumo di plastica, in uno scenario di business-as-usual, entro il 2050 gli oceani arriveranno a contenere in peso più plastica di pesce. L’intera industria delle materie plastiche arriverà in tale scenario a consumare il 20% della produzione totale di petrolio, e il 15% del bilancio annuale del carbonio. A questa pagina si possono consultare le infografiche come la seguente relative ai risultati dello studio.
Dal programma The New Plastics Economy lanciato dalla Ellen McArthur Foundation nel 2016 che oggi vede la partecipazione di oltre 40 soggetti è nato un piano di intervento presentato nel gennaio del 2017 a Davos dal titolo The NPE: Catalysing Action. Il piano di azione identifica tre strategie di intervento basate su: riprogettazione, riuso e riciclo ciascuna mirata ad uno specifico segmento del mercato del packaging. Il nostro approfondimento sulle strategie basate su riprogettazione e riuso del piano si trova qui.
Il precedente rapporto che aveva analizzato a livello globale l’attuale gestione del ciclo di vita della plastica, e il costo totale in capitale naturale generato dal suo utilizzo nei prodotti di largo consumo, è stato Valuing plastic , presentato dall’ UNEP lo scorso giugno 2014. Il rapporto aveva invece quantificato in 75 miliardi all’anno l’impatto economico. Tenendo conto delle conseguenze dell’inquinamento marino ( valutato in 13 miliardi) , così come delle emissioni di gas serra che avvengono durante l’estrazione e trattamento delle materie prime e dell’inquinamento dell’aria causato dall’incenerimento delle plastiche.
L’Italia si colloca tra i paese membri meno performanti nella gestione dei rifiuti in Europa
Una relazione comparativa sulla gestione dei rifiuti urbani negli Stati membri del luglio 2012 ha classificato i 27 Stati membri in base a 18 criteri, attribuendo bandiere verdi, arancioni e rosse per voci quali totale dei rifiuti riciclati, tariffe dello smaltimento dei rifiuti, violazioni della normativa europea. L’Italia occupa il 20° posto e viene indicata tra i 12 paesi membri che hanno basse performance di gestione dei rifiuti a causa di: politiche deboli o inesistenti di prevenzione dei rifiuti, assenza di incentivi alle alternative al conferimento in discarica e inadeguatezza delle infrastrutture per il trattamento dei rifiuti.