Se l’industria italiana del riciclo muore

Pubblichiamo la quarta parte della lettera aperta ai cittadini di Aliplast un imprenditore del settore del riciclo della plastica. Nel messaggio, pubblicato come annuncio a pagamento sul Sole 24 ore,  vengono denunciate le criticità del settore e le conseguenze che ricadono su Enti Locali, cittadini e occupazione. La prima parte si può leggere qui. La seconda e terza qui. La quinta qui.

Caro Cittadino, è bene che tu sappia (parte quarta):

In giorni di protesta come quelli che stiamo vivendo dobbiamo chiederci quali sono i valori nei quali investire come Paese. Sicuramente l’industria ha sempre supportato la crescita ed il benessere degli Italiani e ce ne stiamo accorgendo ora più che mai, quando l’industria stessa è stata portata al collasso.
Dobbiamo salvaguardare le attività ed i settori che usano in modo ottimale le risorse. L’Europa – e l’Italia in particolare – ha un’economia basata sulla trasformazione delle materie prime che, sempre più spesso, vengono da Paesi extraeuropei. E’ antieconomico ed ambientalmente folle pensare di trasformare queste materie prime in prodotti per poi distruggerli, dovendo re-importare nuove materie prime per la produzione di nuovi prodotti analoghi.
Questo è ancor più vero se consideriamo gli imballaggi in plastica, vista la loro breve vita utile. In Europa si usano ogni anno circa 20.000.000 di tonnellate di plastica per produrre imballaggi!
Se importiamo delle risorse da fuori Europa, almeno cerchiamo di riutilizzarle all’interno dell’Europa una volta arrivate a fine vita!
Per questo il Parlamento Europeo e la Commissione Europea hanno intenzione di più che triplicare l’obiettivo di riciclo delle plastiche al 2020 e stanno mettendo a punto le migliori strategie per farlo.
Del resto il riciclo, paragonato alla produzione di materia prima vergine, offre evidenti vantaggi ambientali (riduzione delle emissioni CO2 e saving energetico), sociali (il moltiplicatore di posti di lavoro è molto più elevato) ed economici (con un valore aggiunto che è più legato al territorio).

Cosa facciamo noi in Italia?

L’Italia è stata – nella seconda metà del secolo scorso – la culla del riciclo della plastica e, a tutt’oggi, ha delle industrie di eccellenza sia nel riciclo vero e proprio che nelle tecnologie ad esso correlate.
Tuttavia la gran parte delle aziende medio-piccole che svolgevano numerose questo mestiere e che erano la spina dorsale di questo settore, sono state spazzate via dalle condizioni impossibili di lavoro; questo numero è destinato a crescere, coinvolgendo anche le eccellenze.

Perché?

1. Un costo energetico (principale voce di costo del settore) assolutamente sproporzionato rispetto a quello pagato dai competitor esteri (ma nemmeno in sede di fissazione di sgravi sulle accise per l’industria ci si è ricordati del nostro settore); negli anni le aziende di riciclo plastica, pur garantendo benefici ambientali, hanno dovuto pagare in bolletta le agevolazioni per gli inceneritori (che distruggono, non riciclano!) e per pannelli solari installati nei campi agricoli!

2. Una normativa che è giustamente severa nella tutela dell’ambiente ma è troppo spesso farraginosa e contraddittoria per gli operatori e l’industria del riciclaggio e dei trasformatori, obbligandoli a sostenere dei costi addizionali rispetto ai concorrenti dei Paesi Europei vicini, i Governi dei quali addirittura strizzano l’occhiolino alle nostre aziende con condizioni fiscali di favore (oltre ai minori costi energetici) perché spostino le loro aziende appena fuori confine! E il Paese assiste, impotente, a queste fughe, a questo impoverimento.

3. Una gestione monopolistica dei rifiuti plastici da imballaggi – che costituiscono la parte rilevante della materia prima da cui il settore parte – con l’aggravante per questi monopoli di non aver valorizzato con i contributi pagati dai consumatori le imprese di riciclo che concretamente assicurano un reale fine vita ai rifiuti. Anzi la gestione monopolistica sembra aver spesso adottato politiche con finalità e risultati opposti, ad esempio incenerendo buona parte della plastica per raccogliere e selezionare la quale sono stati spesi molti soldi dei consumatori.

Se l’industria italiana del riciclo muore – e oggi sta morendo – domani chi si curerà dei nostri rifiuti? Ci sarà qualcuno che continuerà a chiedere denaro per seppellirli in qualche discarica? Per incenerirli? O nella migliore delle ipotesi qualche operatore estero verrà a raccoglierli – facendosi pagare e sfruttando il nostro territorio – per poi riciclarseli a casa propria spostando così all’estero posti di lavoro e investimenti che, invece, potremmo tenere qui, se solo si volesse? Pensiamo di lasciarli sfruttare come materia prima i rifiuti italiani la cui raccolta costa denaro a noi consumatori e cittadini per creare economia altrove?

Se intendiamo dare RISPOSTE SERIE e LUNGIMIRANTI dobbiamo cambiare velocemente strategia come Paese ed allinearci a quanto stanno facendo Paesi a noi vicini. Per la nostra esperienza nel settore e per quanto nelle nostre capacità siamo pronti a supportare chiunque voglia dare VERAMENTE un nuovo corso alla nostra economia.

Ci crediamo davvero, stiamo spendendo soldi di tasca nostra, non denaro pubblico, per convincere tutti di questo.

In un Paese senza materie prime come il nostro, il riciclo delle plastiche deve diventare la vera nuova chimica nazionale.

Speriamo di non essere i soli a volere il vero cambiamento.

Vi terrò aggiornati

Roberto Alibardi
Da “Il Sole 24 Ore ” di lunedì 16 Dicembre 2013

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